"Una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine,
che tutto è destinato a finire ma che tu puoi sempre scrivere un seguito;
che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
Una ragazza che legge comprende che le persone, come i caratteri, si evolvono.
Eccetto che nella serie di Twilight.
Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta:lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre."
Rosemarie Urquico.

mercoledì 27 giugno 2012

Rebirth Dawn Capitolo XXIX



XXIX
- Un tempo per ogni cosa -

Cinque, i lati di un pentagono.
Cinque, i cerchi olimpici.
Cinque, l’ora del tè in Inghilterra.
Cinque, le dita in una mano.
Cinque, i sensi.
Cinque, gli elementi naturali.
Cinque, secondo i monaci medievali i gradi dell’amore.
Cinque, le lettere in ‘’Jacob’’.
Cinque, i giorni prima dell’arrivo dei Volturi.

Lunedì.
Un sole incredibilmente splendente mi accecava.
Non riuscivo a contemplare nulla di ciò che avevo attorno se non mi schermavo gli occhi con una mano.
Ero seduta su un’erba gialla, all’apparenza secca, e intorno a me si ergeva sconfinato un mare di fiori profumati su cui si posavano ronzanti insetti variopinti.
Producevano un chiasso quasi assordante.
Il bianco dominava sugli altri colori, smorzandone le tonalità.
Bianco come il latte che i miei bambini bevevano dal mio seno; bianco come il borotalco che avevo fatto cadere a terra la sera prima, sollevando una nuvola che aveva avvolto me e Jake, tutto intento a prendermi in giro; bianco come le lenzuola del suo letto sul quale avevamo dormito insieme, l’uno stretto all’altra, dopo mesi di lotte e denti serrati.
Ogni cosa in quel posto incantato, persino il mio stesso corpo, sembrava risplendere di luce propria o essere stato spruzzato di una polvere iridescente.
Irreale.
Sulle mie ginocchia incrociate giaceva una margherita con uno stelo ridicolmente lungo e soltanto cinque petali.
< Bells! Bells, guarda! > scattai al suono della sua voce.
Mi voltai e vidi il mio uomo richiamare la mia attenzione con un sorriso raggiante.
Indossava un completo bianco ed era accucciato dietro i nostri figli, che già si reggevano da soli sui loro piedini.
Perchè erano così cresciuti?
Elizabeth ed Ephram batterono le mani, emettendo gorgoglii entusiasti, e mossero all’unisono un primo, traballante passo.
Fieri del loro traguardo avanzarono ancora e ancora.
Tre, quattro, cinque...e caddero.
L’erba alta attutì la loro caduta, ma finirono comunque a terra.
Corsi nella loro direzione, ma quando li raggiunsi erano scomparsi.
Sul prato con c’era nemmeno il segno delle loro scarpette da ginnastica o delle manine che avevano proteso per non sbattere il viso.
Soltanto nel punto esatto in cui prima c’era Jake qualcosa era cambiato: al suo posto spuntavano cinque radici nodose intrecciate che soffocavano altrettanti boccioli di fiori azzurri.
Mi inginocchiai davanti a quella bizzarra edificazione della natura e scacciai con la mano un’ape.
La solitudine di quel luogo cominciava a insidiarsi anche dentro il mio petto, come se la stessi assorbendo dai pori della pelle o dall’aria che filtrava nei polmoni.
Poi il cellulare nella tasca dei miei jeans vibrò.
Accarezzando i teneri ciuffetti d’erba, che si piegavano sotto le mie dita, guardai il display.
Cinque chiamate perse e cinque messaggi ricevuti.
Scorsi la rubrica veloce e ricomposi il numero di Ellie –la prima telefonata era la sua-.
Cinque squilli e poi uno stridore.
Un gracchiare confuso e distorto, la sua voce graffiata come un vecchio LP dalla puntina del giradischi.
< Belle! > gridò nelle mie orecchie.
Balzai in piedi in risposta e corsi verso il limitare della radura.
< Belle, Belle! > continuava a ripetere sempre più lontana, inarrivabile.
Cosa stava succedendo? Perchè sembrava così terrorizzata?
Dovevo raggiungerla immediatamente. Aveva bisogno di me.
L’avrei protetta, tenuta al sicuro perchè mi sentivo responsabile della sua incolumità.
Avevo sul cuore il peso di tutte le vite che dipendevano dalla mia.
La sua era una di quelle che non potevo permettermi di perdere.
< Belle! Belle... > l’ultima invocazione culminò in un “bip” acuto che mi perforò i timpani.
< Ellie! > urlai e lasciai cadere il cellulare, diventato incandescente, ai miei piedi.
Tutte e cinque le dita della mia mano destra presentavano vesciche rosse spellate.
Annaspai e mi morsi le labbra per non imprecare dal dolore.
Diedi un’ultima occhiata al telefonino e sobbalzai.
Cinque gocce di sangue cadute dall’alto avevano appena bagnato lo schermo.

Jacob rientrò presto dall’allenamento tattico con i Cullen.
Si stiracchiò sull’uscio della sua stanza e mi sorrise, sfiorando con occhi colmi d’amore e orgoglio Ephram attaccato al mio seno.
< Dov’è Elizabeth? > chiese, guardandosi attorno.
< Con Rachel e tuo padre da Charlie. > risposi cullando il mio bambino con dolcezza.
< Speri che parlando con Billy gli passi la voglia di sterilizzarmi come un cane? > rise e si accucciò di fronte a me, accarezzandomi un braccio.
Era normale che sentissi delle scosse elettriche diramarsi in tutto il corpo dal punto in cui lui mi aveva toccato?
Era normale sentire il sangue ribollire nelle vene ed il cuore leggero, come sostenuto da ali di farfalla?
Probabilmente sì.
Anzi, sicuramente sì.
< Mi accontento del fatto che non tiri fuori il fucile ogni volta che lo andiamo a trovare tutti e quattro. > replicai, osservando la naturalezza con cui aveva allacciato le dita alle mie.
Rise e si diede una spinta per baciarmi la fronte.
- Parla il cervello di Isabella Marie Swan. Al momento abbiamo dei problemi di connessione e siamo irraggiungibili. Vi preghiamo di riprovare più tardi, grazie. -
Tossicchiai, cercando di non arrossire per un gesto banale come quello, ma ogni mio tentativo era inutile.
Un bruciore intenso m’infiammò le guance e strappò a Jake un altro sorriso.
La verità era che qualsiasi azione, prima compiuta con naturalezza innocenza ed amicizia, da quando avevamo fatto pace assumeva tutto un altro sapore.
Baci, carezze, sguardi, abbracci.
Dolce come granelli di zucchero sotto la lingua, come una spolverata di vaniglia sopra una torta appena sfornata.
Era strano essere innamorata del proprio migliore amico.
Mi metteva a disagio il non essere in grado di nascondergli nemmeno la più piccola preoccupazione che mi angustiava.
Forse facevo delle smorfie buffe o chissà che altro, perchè lui studiava il mio viso ed in un attimo traduceva i miei pensieri silenziosi in parole calde.
Pronunciati dalle sue labbra, i miei tormenti sembravano sciocchi ed inutili.
< Le tue solite paure, Bells. Le tue solite preoccupazioni, i tuoi film mentali da Oscar. Smettila di vivere nell’ansia. Io sono qui. >
Ero spaesata, poichè ero abituata a conservare tutto nella mia testa: Edward non mi leggeva nella mente e non aveva mai trovato la chiave di lettura del mio essere.
Jacob, invece, sembrava conservarla da sempre nella tasca posteriore dei jeans.
Mi piaceva il modo in cui mi abbracciava, annullando qualunque timore senza bisogno di grandi frasi dall’effetto consolatorio.
< Non sono tipo da discorsi epici, lo sai. Lascio volentieri quella parte al tuo caro succhia sangue. Io mi tengo quella più divertente. >
Jake aveva un modo tutto suo di esorcizzare i miei demoni e quando lui mi era accanto mi sentivo invincibile.
< Come vanno gli allenamenti? > gli domandai, staccando Ephram che si era addormentato e ricoprendomi il seno.
Arrossii ancor di più sotto lo sguardo indecifrabile che Jacob mi indirizzò.
Impiegò qualche istante prima di rispondere.
< Una palla mortale. Domani Embry ha detto che porta le carte, almeno ci facciamo una partita mentre dottor Canino spiega minuziosamente la composizione della guardia dei Volturi. E’...soporifero. Una volta indicatomi il bersaglio e le sorpresine che devo aspettarmi, che altro c’è da dire? > sbuffò, alzando gli occhi al soffitto.
< E’ importante che siate ben informati...io...non deve andare nulla storto! > non riuscii a mantenere un tono di voce fermo.
S’incrinò sull’ultima frase, alla sola idea che potesse capitare qualche imprevisto.
< Bells, abbiamo il vantaggio numerico e l’effetto sorpresa. Sono già mort...spacciati, visto che morti lo sono già. > sorrise incoraggiante, pizzicandomi una guancia.
< Sì, ma... > obiettai e lui mi zittì con un bacio prepotente.
< Proprio non riesci a stare tranquilla, vero? > sospirò.
Scossi la testa, sull’orlo delle lacrime.
Se fosse accaduto qualcosa anche ad uno solo di loro mi sarei trascinata dietro i sensi di colpa per tutta la vita come un sacco di macigni.
< Non se mi fai rimanere a casa... >
Mi alzai in piedi e deposi Ephram nella culla, coprendolo con il suo lenzuolino verde.
< Bells, cazzo, ne abbiamo già discusso. Non lascerò che tu ti esponga. Sei una madre adesso e non devi pensare solo a te stessa! > s’infervorò, passando entrambe le mani tra i capelli folti.
Inspirò profondamente e represse il tremore delle dita, infilandole nelle tasche dei pantaloni.
< Vogliono me, Jake. Se non ci sarò, intuiranno qualcosa e una sciocchezza simile potrebbe esservi fatale. > lo fissai determinata come mai ero stata in vita mia.
Quando dovetti affrontare una situazione simile prima della battaglia contro Victoria ed il suo esercito di neonati, la decisione unanime fu quella di mettermi al sicuro, allontanandomi dal campo di battaglia quanto più possibile.
In cambio avevo chiesto che Edward rimanesse con me, cosicchè non corresse pericoli.
Atteggiamento codardo ed egoistico, che avevo tutta l’intenzione di abbandonare.
Non avrei lasciato che qualcun altro combattesse le mie battaglie per me.
Ero più forte e se anche non potevo reggere il confronto fisico con un vampiro, perlomeno potevo distrarlo a sufficienza.
< Non starò in prima linea, ma devo esserci. I Cullen faranno da scudo, lo so. Starò bene, Jake. Sono più forte ora. >
Gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a guardarmi.
Lottava contro se stesso, nel tentativo di prendere la decisione migliore non solo a livello strategico.
< No! > dichiarò deciso, serrando la mascella.
< Jake, sai bene che troverei il modo di esserci e non ti piacerebbe. Senza contare che sarei più vulnerabile da sola, girando tra i boschi per raggiungervi. >
Non avevo voluto arrivare alle minacce, ma dovevo usare ogni metodo a disposizione per persuaderlo.
Non lo stavo facendo con scopi puramente menefreghisti: il solo pensiero di abbandonare i miei figli mi annientava, ma non c’era soluzione possibile diversa da quella.
Se volevamo avere anche una sola possibilità di tornare entrambi sani e salvi dallo scontro, l’unico modo era essere presenti tutti e due.
< Non chiedermi questo, Bells. > sussurrò roco, mordendosi le labbra e accarezzandomi il viso.
< Non ti sto chiedendo nulla, infatti. Ti sto mettendo al corrente dei miei piani. Non mi fermerai, amore. Io sarò lì al tuo fianco. > mi sollevai sulle punte e lo baciai.

Quattro, i lati di un quadrato.
Quattro, i formaggi sulla pizza.
Quattro, gli arti di un uomo.
Quattro, il numero perfetto secondo i Maya.
Quattro, i semi delle carte francesi.
Quattro, i punti cardinali.
Quattro, le stagioni.
Quattro, le fasi lunari.
Quattro, i giorni prima dell’arrivo dei Volturi.
Martedì.
Ero circondata da alberi altissimi, di cui non riuscivo a scorgere la sommità.
Imponenti, con fogliame variopinto e rami robusti.
Era buio pesto ed io riuscivo a vedere soltanto grazie a quattro piccoli fuochi accesi intorno a me.
Mi scaldavano e proteggevano dalla rigida temperatura.
Sotto le fiamme flessuose, in ognuno di essi, ardevano quattro ciocchi di legna, circondati a loro volta da quattro grossi sassi lisci, cosicchè non venissero accidentalmente provocati incendi.
D’improvviso si materializzarono dinnanzi a me quattro figure avvolte in spessi mantelli neri.
Nessun tratto visibile, nessun segno particolare.
Soltanto occhi di brace fluttuanti su un viso plasmato nell’ombra.
Recitavano a bassa voce quella che sembrava una preghiera ed era una litania insopportabile.
Sempre uguale,piatta, ripetitiva, sussurrata in una lingua che mi sembrava familiare e sconosciuta al contempo.
Le fiamme guizzarono più alte ed io mi coprii il viso d’istinto.
Poi la nenia cessò e fui nuovamente sola.
Ai miei piedi giacevano quattro pietre rosse, che avevano tutta l’aria di essere rubini.

< Oh, andiamo signorino! Ti ho cambiato cinque minuti fa, non puoi essere di nuovo bagnato! > mio padre sollevò Ephram di fronte al viso e lo scosse piano.
Mio figlio continuava a strillare a pieni polmoni, sgambettando nel suo pannolino allacciato storto.
< Ha soltanto fame. Dallo a me. > protesi le braccia per prenderlo, ma Charlie avvampò.
< Non vorrai...beh, insomma... > indicò il mio seno gonfio con un dito e gli fremettero i baffi.
Risi.
< Certo che sì, papà. Come pensi che gli dia da mangiare? Tramite un imbuto? >
Bofonchiò qualcosa che non capii ed io gli lanciai un bacio che gli fece storcere il naso.
Alzai la maglia ed iniziai ad allattare il bambino sotto lo sguardo attento di suo nonno.
Era curioso ed affascinato.
< Sei brava, sai? > disse d’un tratto, alzandosi poi per andare a prendere una birra ghiacciata.
Gli sorrisi, guardandolo tornare a sedersi sulla poltrona di fronte a me.
Mi specchiai nei miei stessi occhi: li avevo ereditati da lui.
< Ho trovato la mia vocazione. >
Charlie bevve un sorso e si pulì i baffi, corrugando la fronte in maniera pensosa.
Rimanemmo in silenzio qualche minuto, con la televisione a volume basso che riempiva il vuoto lasciato dalle nostre riflessioni mute.
< Sei così giovane... > biascicò infine lui senza guardarmi.
< Lo eravate anche tu e la mamma. > azzardai, attaccando mio figlio all’altro seno.
< E guarda infatti come siamo felici...l’uno lontano dall’altra. > dichiarò, stringendo le dita sul vetro gocciolante di condensa della bottiglia.
< Papà, io non diventerò una ragazza-madre. Jake non... >
< Se solo ci si azzarda resteresti vedova. Il mio fucile non vede l’ora di... > assunse un’espressione da killer professionista che mi fece scoppiare a ridere.
< Papà, ti prego! >
Borbottò sottovoce e trangugiò un altro sorso di birra.
< Almeno lui è simpatico. Cullen aveva la faccia da triglia lessa, con quegli occhi spiritati fuori dalle orbite e il colorito pallido. >
Si gettò di peso sullo schienale della poltrona e sospirò.
< E’ che...non voglio che tu soffra, ecco. > esclamò poi, affogando la confessione in una seconda bottiglia di birra.
< Sto bene. Bene davvero. > affermai con sincerità, sorridendogli.
< Staresti meglio sposata. > farfugliò, prendendo il telecomando e alzando il volume della partita.
< Papà! > lo ripresi, arrossendo.
Si strinse nelle spalle e mi sembrò che cercasse di nascondere una risata sotto i baffi folti.
< Domani, magari, mi faccio due chiacchiere con Billy... >


Tre, i lati di un triangolo.
Tre, i pasti di una giornata.
Tre, i fori di una presa elettrica.
Tre, le luci di un semaforo.
Tre, le entità fondamentali nella religione Cristiana.
Tre, i pedali di una vettura.
Tre, le stelle della cintura di Orione.
Tre, le lettere in “Aro”.
Tre, i giorni prima dell’arrivo dei Volturi.

Mercoledì.
Ero in una stanza ariosa, spaziosa, le cui pareti erano talmente lontane che l’occhio non riusciva a intravederle.
Attorno a me c’erano quadri, statue, opere d’arte di tutti i generi: moderno, contemporaneo, antico.
L’odore della vernice ad olio e dell’aria condizionata accesa al massimo mi infastidiva.
Rabbrividii e mi avvicinai ad un affresco che occupava una grossa porzione di muro.
Tre uomini nudi, immersi nel fogliame folto di una foresta, erano inginocchiati di fronte a me e mi fissavano con intensità.
Avevano gli occhi scuri, spennellati d’ambra, ed un fisico bronzeo. Possedevano un qualcosa di rassicurante e familiare.
Forse la linea delle labbra, forse l’espressione quieta...
Con mano tremante sfiorai i loro volti e poi posai lo sguardo più in basso, lì dove le loro dita s’infilavano nel folto pelo di altrettanti lupi accucciati con le orecchie basse.
Uno dal pelo ramato, uno argentato ed un altro color sabbia.
Avevano le zanne scoperte ma non mi inquietavano affatto. Sembrava più ridenti che minacciosi.
Poi udii uno scricchiolio alle mie spalle.
Sembrava che qualcuno  stesse sfregando dei massi gli uni sugli altri.
Mi voltai lentamente e, basita, vidi venire nella mia direzione una statua dalle fattezze umane.
Occhi, labbra, capelli non erano che ricami in una panna montata della solidità del marmo.
Dietro di essa, altre due seguivano i suoi movimenti lenti che facevano, però, tremare il pavimento.
La prima statua si fermò di fronte a me ed aprì la bocca.
Non pronunciò nemmeno un suono, ma mi sembrò allarmata.
Tese un braccio rigido e mi trasse a sè.
Sbattei contro il suo torace granitico e lo zigomo s’infiammò.
Sotto le mie dita curiose scivolava una pietra liscia e pallida con venature azzurrine.
Chiusi gli occhi sentendomi al sicuro e mi abbandonai a quell’abbraccio duro e freddo senza remore.
E d’improvviso un coro di ululati riempì l’ambiente indefinito di quella stanza da museo, raschiando il mio udito.
Sembrava un allarme.
Qualcosa di grave stava per accadere e dovevo tenermi pronta.
Tremai ed il mio corpo reagì pronto al posto mio: si sottrasse con difficoltà alla stretta della statua, che sembrava non volermi lasciare andare, e mi fece arretrare. Il viso di quel bellissimo uomo che pareva un angelo sprovvisto d’ali s’incrinò. Se avesse potuto probabilmente avrebbe pianto lacrime di calcare.
Infine, con lo scroscio roboante di una frana, si sgretolò davanti a me e la sua testa mozzata ruzzolò ai miei piedi.

< Bella! >
Soffocai il viso nel loro abbraccio affettuoso.
Avevano la pelle di diamante e di sicuro ne sarei uscita con qualche livido, ma avrei sopportato volentieri.
Li strinsi a me goffamente: erano un po’ troppi per poterli circondare tutti.
Emmett, poi, grosso com’era, si fregava una generosa porzione d’abbraccio tutta da solo.
< Ci sei mancata! > esclamò con commozione Esme.
E per i vampiri, che non potevano piangere, era una semplice incrinatura delle labbra ed una spolverata di dolore nella voce.
I lupi alle mie spalle ringhiarono e, sopra tutti, udii lo stridore delle zanne di Jake.
Avevamo discusso a lungo in proposito: si era rifiutato categoricamente per giorni di portarmi all’allenamento con i Cullen, ma io avevo insistito.
L’ultimo ricordo che loro avevano di me era un velo bianco frusciante che scompariva nella foresta in braccio a Seth Clearwater e poi lunghi mesi di silenzio. Nient’altro.
Dopo tutto quel che avevano fatto per me, si meritavano decisamente qualcosa di più.
Delle scuse, un po’ di pentimento, qualche bacio e un’infinità di lacrime da poter riempire un lago prosciugato, come minimo.
Erano stati una famiglia per me: mi avevano accolto nella loro casa e nel loro cuore –chi più chi meno- benchè fossi diversa e avessi trascinato catastrofi epiche nelle loro esistenze quiete.
< Sempre imbranata e piena di graffi, sorellina? > chiese Emmett, sollevandomi per aria.
Gli sorrisi e crucciai il viso, tentando di assumere un’espressione minacciosa.
La verità? Non avrei fatto paura nemmeno a Bambi.
< Mi dispiace un sacco che non faremo mai quel famoso braccio di ferro, sai? > borbottò rimettendomi giù con un po’ di impaccio.
Poi però mi strizzò l’occhio e rise sguaiato.
Sam, dietro di me, ululò imperioso e Edward, nascosto dall’intero clan Cullen, tradusse con una voce tetra.
< Vogliono iniziare. Sono stanchi della teoria. >
Aveva gli occhi vuoti e neri, nient’altro che due buchi nel viso contornati da strisce viola e rosse.
Era il fantasma di se stesso o forse soltanto il rfilesso della sua anima sola che bruciava tra i carboni ardenti degli inferi.
Mi morsi le labbra, cercando di arginare il senso di colpa che provavo nei suoi confronti.
Mi ero battuta con tutte le mie forze per fargli credere che potesse essere salvato, che ci fosse qualcosa di bello anche per lui dopo, ma ora non mi avrebbe più dato credito.
Altre promesse infrante lasciate lungo il percorso, altre bugie e illusioni spaccate come vasi di porcellana antichi –della sua epoca, forse...o forse no. Chi teneva più il conto del tempo che passava quando le giornate si facevano tutte uguali? -, i cui frammenti taglienti ancora ferivano entrambi.
Errori affilati, abbagli aguzzi e miraggi lontani che spruzzavano gocce rosse ovunque tu riuscissi a spaziare con lo sguardo.
- Sei un vampiro. Non puoi sanguinare, eppure so che dentro te c’è un’emorragia inarrestabile. Scusa. Scusa, Edward. -
Mi scostai da una parte e mi accuciai per terra, osservando, per quanto mi fosse possibile, le dimostrazioni pratiche con cui Jasper e Carlisle esplicavano la metodologia d’attacco dei singoli membri della guardia dei Volturi.
Erano talmente veloci che alle volte li vedevo soltanto svanire e riapparire altrove, smuovendo l’aria come se fosse un telo tra le loro dita e potessero drappeggiarla ovunque volessero.
Altro che teletrasporto!
Ellie sarebbe impazzita nell’assistere alla scena, con la mania dei superpoteri che aveva.
Capriole, salti mortali e acrobazie degne di un circo facevano sembrare quell’allenamento più una danza che una esercitazione alla guerra.
D’un tratto uno sbuffo caldo mi solleticò il viso.
Alzai gli occhi e ancora una volta incontrai quelli di Jake da lupo.
Limpidi, cristallini, ghiaccio scuro sciolto dipinto di gocce di sole.
Ritornai con i pensieri alla prima volta in cui mi ci ero immersa interamente. Ero in pericolo, senza Edward, con un affamanto Laurent di fronte.
Esposta. Vulnerabile. Preda.
E poi era comparso lui.
Pelo fulvo, orecchie guizzanti e coda ritta. Zanne scoperte, artigli affondati nel suolo secco e naso arricciato.
Difendeva il territorio.
Difendeva i deboli.
Difendeva me.
Come avevo potuto allora non capire immediatamente che il lupo gigante che mi fissava fosse Jake?
Aveva lo stesso amore a scaldargli le iridi, quello che non era mai cambiato nel tempo, nemmeno dopo il gelo.
Nascosto, sotterrato in profondità per non permettergli di mordere e ferire, ma c’era sempre stato.
Ed io, io sarei sempre stata sua qualunque fine fosse stata scritta alla nostra storia.
Sarei stata sua anche se non ci fosse stato un epilogo vero e proprio, solo pagine bianche saltate ed un ‘’to be continued’’ vergato con mano tremante.
Sarei stata sua.
Ero sua da sempre.


Due, le guerre mondiali.
Due, le lenti di un binocolo.
Due, le molecole d’idrogeno in un atomo d’acqua.
Due, le facce di una moneta.
Due, i poli di un magnete.
Due, le ali di un uccello.
Due, gli occhi.
Due, i gemelli.
Due, i giorni prima dell’arrivo dei Volturi.

Giovedì.
Un sospiro.
Poi due.
Il fiato si condensò davanti ai miei occhi in una nuvoletta evanescente e pallida.
Faceva freddo ed io ero seduta su qualcosa di morbido che però sembrava sospeso nell'aria.
I miei piedi penzolavano nel vuoto con nervosismo e gli occhi non riuscivano a cogliere nulla.
Soltanto quei sospiri spezzati, ingoiati in due bocche che non vedevo ma sentivo scontrarsi.
Fameliche.
Poi d'un tratto, come se fosse stato acceso un occhio di bue su un palcoscenico, un orologio entrò nel mio campo visivo.
Era immobile, gelato, e segnava le due. Se di pomeriggio o mattina era impossibile stabilirlo.
Rimase illuminato qualche secondo e poi l'oscurità lo ingurgitò di nuovo, lasciandomi ancora una volta sola con i sospiri dei due amanti.
Non avevo molta esperienza in quel campo ma sapevo riconoscere certi suoni.
Inconfondibili. D'appartenenza.
Un altro farò brillò dinnanzi a me e si riflettè su due specchi vuoti, lunghi ed ovali.
Tesi la mano e sfiorai la cornice dorata di uno di essi. Era pesante e lavorata in modo fine e preciso.
La superficie lucida, invece, era fredda sotto le mie dita e scivolosa. Sembrava quasi liquida.
Apparvero all'unisono come fantasmi, spaventandomi.
Due ragazze di schiena plasmate nell'ombra.
Avevano entrambe capelli lunghi e le braccia abbandonate sui fianchi.
Difficile dire se le conoscessi o meno.
< Chi siete? > chiesi e la mia voce parve un sussurro.
Non rimbalzò addosso ad alcuna parete e si spense presto.
Le due figure femminili rimasero voltate e mute fin quando non avvertii dei passi alle mie spalle.
Solo allora si girarono ed i loro visi si esposero alla luce.
Uno era cosparso di qualche lentiggine, aveva labbra carnose ed invitanti come pesche succose, occhi d'acciaio inflessibile e una cascata di fiamme tutto attorno.
L'altro era il mio.
I passi dietro di me diventarono più svelti, quasi una corsa.
Mi sporsi oltre il mio sedile e scrutai il buio alla ricerca di un qualcosa, una qualunque cosa ma non c'era nulla che si stesse avvicinando.
Riportai lo sguardo sulle due ragazze e sobbalzai: materializzatosi chissà come, tra me e gli specchi ora, c'era Jacob.
Le sue spalle muscolose erano imprigionate in una camicia stretta e nera e aveva le mani affondate nei pantaloni.
Non riuscivo a scorgere i suoi occhi e perciò lo chiamai, ma lui non mi ascoltò.
Il mio braccio affondò nel suo addome, quando cercai di acchiapparlo, come se fosse fatto d’acqua.
Mosse un passo, poi un altro e i gemiti tornarono a farsi sentire, incalzando il suo ritmo.
Stava dirigendosi verso una delle due figure e, sebbene avessi sperato il contrario, non era la mia.


Sbuffai al telefono di nuovo forse per la decima volta consecutiva.
Non sapevo dire se fosse peggio ascoltare gli sproloqui senza senso di Ellie su Leah e le eccessive torte di Sue -che le avevano fatto prendere tre chili- oppure le curiosità di mia madre entrata in modalità "super-nonna-apprensiva".
< E crescono? Mangiano? Dormono? >
< Sì, mamma. E respirano. Sono bambini, cosa vuoi che facciano? > brontolai, alzando gli occhi al soffitto.
Inutile dire che al mio commento sarcastico seguì un’altra sequela di domande sciocche, tipo il numero dei loro pisolini giornalieri o il colore delle tutine che gli avevo fatto indossare quella mattina.
Feci per risponderle, ma venni bloccata da una Ellie tutta trafelata, che entrò in camera di Jake –dove eravamo ancora provvisoriamente accampati- con l’aria di starne per combinare un’altra delle sue.
Si chiuse di soppiatto la porta alle spalle e sorrise raggiante.
Troppo raggiante.
Ebbi paura.
< Bella, ci sei? > in sottofondo udii un saluto da parte di Phil.
< Sì, certo. Dicevi? > feci il cenno alla mia amica di sedersi e starsene buona per qualche attimo e lei ubbidì con docilità.
Sembrava un cagnolino scodinzolante che non vede l’ora di saltarti addosso e farti le feste.
< Ti ho chiesto come vanno le cose con Jake... > la voce di mia madre era tornata seria ed era persino colorata di preoccupazione.
< Meglio. Molto meglio, sta’ tranquilla. > le risposi e sorrisi involontariamente, pensando al bacio di buongiorno e buonanotte che ricevevo ormai tutti i giorni da quando avevamo fatto pace.
Il tempo che trascorrevamo lontani era davvero breve, ridotto ai minimi termini. Avevamo una bassa soglia di sopportazione dell’assenza dell’altro.
Un bisogno impellente che sfociava in abbracci disperati ogni volta che ci ritrovavamo.
La verità era che cercavamo di godere appieno di quegli istanti che potevano essere gli ultimi e di compensare le mancanze dei mesi persi a rincorrerci senza mai raggiungerci davvero.
Ellie, in una delle dediche sui mille libri che mi aveva regalato durante la gravidanza, una volta aveva scritto qualcosa come "Vivi come se dovessi morire domani e ama come se non dovessi morire mai".
Ecco, io e Jacob stavamo attuando quella semplice frase con tutte le nostre forze, senza nemmeno soffermarci a prendere aria: era un inutile spreco di tempo che non potevamo concederci.
< Sei felice? > domandò Renèe in un soffio.
Me la immaginavo stringere il labbro inferiore tra i denti fino a farsi male, arricciandosi una ciocca di capelli intorno al dito.
Anche lei si aggiungeva alla lista, che sembrava allungarsi ogni giorno di più, delle persone a cui io stavo a cuore.
Tutto questo affetto mi caricava di determinazione e mi dava forza a sufficienza per non lasciare che il terrore e la rassegnazione mi addentassero, avvelenandomi il cuore.
< Sì. Sì, mamma, lo sono. Ci vediamo questa estate, ok? > proposi di getto, permettendo alla speranza e a quel sogno dolce di coccolarmi qualche attimo.
I gemelli che gattonavano attorno al noce bianco di Phil, mia madre che sorseggiava un thè freddo con i suoi occhiali da sole viola e il cappello di paglia assieme a Lilian, Jake ed io accoccolati l’uno all’altra che ci facevamo i dispetti, Ellie e –perchè no- Seth che bisticciavano per un nonnulla...
Quella visione radiosa soffiò calore nelle mie vene, sciogliendo le lacrime che avevo deciso di congelare fino a quando avessi potuto piangere di sollievo dopo la riuscita del piano per fermare i Volturi.
Tirai su con il naso e risi dei gridolini entusiasti di mia madre, che già progettava di mettere un’altalena ed uno scivolo in giardino e far costruire una piscina dove Ephram ed Elizabeth avrebbero potuto imparare a nuotare.
Ellie mi diede un pizzicotto e mi comunicò con uno sguardo severo che era arrivato il momento di agganciare e salutare Renèe.
< Ci sentiamo presto, mamma. Ti voglio bene. >
Premetti il dito sullo schermo e la fotografia di mia madre che faceva la linguaccia scomparve dal display.
Ero stata capace di non dire addio e di credere davvero alle mie promesse.
Non l’avrei delusa. Non avrei deluso nessun membro della mia famiglia allargata, che comprendeva vampiri, licantropi e umani.
Conclusa quella parentesi atroce li avrei portati a cena fuori tutti assieme.
< Allora? > Ellie sollevò un sopracciglio e indicò nella mia direzione col mento.
< Allora cosa? > incrociai le gambe sul letto e sospirai.
Quando attaccava un discorso in quel modo non era mia un buon segno.
Se c’era un "allora" c’era pure un qualcosa che non sapeva e a cui pensava di poter porre rimedio.
< Tu e Jake avete fatto sesso? > sputò senza preamboli o inutili giri di parole.
Spalancai la bocca e la richiusi  un paio di volte come un pesce fuori dalla boccia di cristallo.
Ellie rise, reclinando la testa bionda.
< Lo prendo come un no. > si asciugò invisibili lacrime di divertimento e rise ancor più forte.
Io avvampai e iniziai a sventolare una mano davanti al viso.
< Smettila di fare la santarellina, dai. Non sei mica rimasta incinta per miracolo! > mi riprese la mia amica, tirandomi un cuscino in piena faccia.
< No, è vero. Ma era diverso... > tentai di ribattere, ma tanto con Ellie non riuscivo mai a spuntarla.
< Ah già, era diverso. Tu negavi di amarlo, l’hai fatto in un ultimo gesto disperato prima di diventare vampira, non sapevi cosa stavi combinando e blablabla. Ti aspetti che ci creda? Lo amavi prima e pure adesso, anzi di più perchè ne sei pienamente consapevole ora. Quindi direi che se il caro lupacchiotto finge di essere un bello addormentato, è ora che noi gli diamo una svegliata. > esclamò convinta, sporgendosi dal letto per prendere una borsa che non avevo notato prima.
< Noi? > chiesi e sperai che non avesse in mente qualche giochino perverso per riaccendere la fantasia di Jacob.
Il triangolo non era propriamente la mia forma geometrica preferita.
< Noi. Esatto. Perchè tu da sola adesso non faresti venir voglia nemmeno ad un babbuino in calore. Serve un aiutino...o un restauro, chiamalo come vuoi. > estrasse lentamente un oggetto che avevo visto solamente nelle pubblicità: donne sorridenti, con gambe più lisce di quelle di un neonato, canticchiavano facendosi la ceretta ovunque.
Per carità!
Io avevo usato sempre e solo la cara lametta, dato quanto poco sopportassi il dolore fisico.
Arretrai con gli occhi sbarrati.
< Scordatelo. >
Ellie me la sventolò sotto il naso.
< Belle, da quant’è che non ti depili? No, aspetta. Non voglio saperlo. Sù, sdraiati. Ci aspetta un lungo pomeriggio. >
Mi afferrò un braccio e mi sbattè sul materasso, attaccando la spina perchè la cera si scaldasse.
< Ellie, quell’attrezzo veniva usato nel medioevo per le torture. Non puoi volermi così male! > esclamai, cercando di liberarmi.
< Chi bella vuol comparire un po’ deve soffrire. Non fare la lagna, ti sto per fare un servizio completo interamente gratis: finita la ceretta ci aspetta una tinta ed un impacco ai cetrioli sul viso. > asserì con un mezzo sorrisino diabolico.
La cera bollente colò sulle mie gambe come miele.
Lei applicò svelta una striscia e mi strizzò l’occhio.
< Ti consiglio di mettere qualcosa fra i denti. >
Ringhiai e alzai il mento in gesto di sfida < Piuttosto...ho saputo che tu e Seth vi siete fatti un giretto per la riserva mezzi nudi. Come va con lui? Glielo hai detto che sei cotta come una pera? > la presi in giro ridacchiando.
Lei arrossì appena.
< Non bestemmiare, Belle. >
E strappò di netto, facendomi gridare.


Uno, la canzone dei Muse.
Uno, il gioco di carte.
Uno, la macchina italiana Fiat.
Uno, il satellite naturale della Terra.
Uno, il codice fiscale di un uomo.
Uno, l’equatore.
Uno, il cuore.
Uno, il vero amore.
Uno, il giorno prima dell’arrivo dei Volturi.
Venerdì.
Aprii gli occhi e mi ritrovai di fronte ad un cancello arrugginito e piegato da un lato, con le sbarre disconnesse e divelte in alcuni punti.
Aveva un’aria stanca e vecchia, come quella di un superstite di guerra che aveva assistito allo sterminio di tutto il suo plotone.
Odore rancido di fiori marci filtrava fino a me dalle fessure del muro sconnesso di mattoni mezzo crollato.
Mi alzai sulle punte e cercai di vedere qualcosa attraverso la nebbia densa che aleggiava tutto attorno.
Sembrava che qualcuno avesse spruzzato schiuma da barba un po’ ovunque, senza discriminazione.
Sassi e pietre, massi e ciottoli sporgevano qua e là rendendo l’atmosfera ancor più ligubre e desolata.
E poi giunse un canto.
Era una melodia appena accennata a labbra serrate, una di quelle che smuoveva ricordi lontani nella mia testa, quasi aprendo cassetti a caso senza richiuderli cercando quello giusto.
Mi graffiai le dita sulle sbarre arrugginite e infilai la testa in uno spazio un po’ più largo degli altri, cercando di individuare la persona a cui apparteneva quella voce delicata.
Una donna.
Era vestita di blu, aveva i capelli scuri raccolti in uno chignon e un velo, che pendeva dal cappellino, a coprirle i lineamenti del volto.
Tra le mani aveva un unico fiore: una rosa rossa con le spine.
Dalle dita con cui stringeva il gambo gocciolava sangue.
Avanzava sinuosa nella foschia, svanendo a tratti dal mio campo visivo.
Sembrava uno spirito tormentato in cerca di riposo.
Poi si fermò di colpo, dandomi le spalle.
Si inginocchiò rigida e depose la rosa insanguinata su quello che sembrava un tumulo.
Singhiozzò piano, con le spalle che le tremavano, e rimase accucciata qualche attimo.
Di fronte a lei c’era una lapide scheggiata e corrosa da vento e pioggia.
Tutte le scritte erano sbiadite e graffiate via dalla pietra porosa.
L’unica lettera che riuscii a distinguere fu un’iniziale vergata con una grafia obliqua ed elegante.
Una E.

Dalla finestra del bagno di casa Black, scorsi l’auto grigia dei Clearwater, guidata da Rachel, che si allontanava.
A bordo, ben assicurati ai propri seggiolini, i miei bambini scalciavano contenti.
Billy era accanto alla figlia e parlottava fitto gesticolando, mentre Jake li salutava con una mano dalla veranda, rientrando poi subito in casa.
Qualche attimo dopo bussò piano alla porta dietro cui ero appoaggiata da una mezz’ora buona e mi domandò se stavo bene.
Eravamo soli e io non riuscivo nemmeno ad uscire per guardarlo in faccia.
- Sto una meraviglia! ...Come no!-
La verità  era che non ero capace di creare un certo tipo d’atmosfera o stuzzicare un uomo, ma la voglia di sentirlo più vicino mi bruciava la pelle.
Uscire e cercare di sedurlo, col rischio di essere rifiutata facendo la figura di una gallina che covava un uovo di pasqua, o fingere un malore e rimanere lì finchè non fossero tornati i Black?
- Ardua sentenza, Bella. -
< Tutto sotto controllo. > borbottai infine e mi passai una mano fra i capelli.
Come avrei dovuto comportarmi?
Si trattava di Jacob, dell’uomo che amavo e che mi amava a sua volta per com’ero –imbranata, goffa e timida- e allora cosa diavolo ci facevo barricata dentro un bagno microscopico, con il rumore della centrifuga della lavatrice che mi ronzava nelle orecchie, indossando un vestitino microscopico con lingerie costosa sotto?
< Bells, sei chiusa lì da quasi due ore. Cosa stai combinando? Un restauro? >
Strinsi i denti e trattenni un’imprecazione.
Ma erano tutti fissati con questa restauro? Ero davvero conciata così male?
Un conto lo dicesse Ellie, esagerando per convincermi a sopportare quel supplizio universalmente chiamato ‘’ceretta’’, un conto lo usasse lui per schernirmi, facendo suicidare la mia scarsa autostima residua fuori dalla finestra.
Con la gravidanza i fianchi si erano ammorbiditi, le cosce ingrossate un po’ e i seni sembravano due sommergibili –per usare le invidiose parole della mia migliore amica, che portava una seconda scarsa-.
Davvero credevo di poter competere col corpo di quella sirena che soggiornava a casa di Sam ed Emily con la sorellina e una nonna a cui mancava qualche rotella?
Lei aveva tutte le curve al punto giusto e nemmeno un filo di grasso. Io potevo ancora dire lo stesso?
< Bells, devo sfondare la porta? Sto iniziando a preoccuparmi. > la sua voce pizzicava.
Mi invogliava a correre fuori e rifugiarmi tra le sue braccia, ma anche a tapparmi le orecchie per non sentire.
Avevo superato psicologicamente il suo tradimento, ma ora l’idea di sfiorarlo e deluderlo mi atterriva.
Io non ero esperta, provocante o sexy. Io ero Bells e pensavo che gli sarei sempre bastata...ma forse mi ero illusa.
La nostra prima esperienza era stata insieme, poi io ero rimasta bloccata, Jacob, invece, era scattato, aveva toccate tutte le basi successive ed era tornato indietro salvo, segnando punto.
La maniglia saettò verso il basso un paio di volte con rabbia prima che lo sentissi masticare qualche insulto rivolto a chissà chi.
< Ora esco. Dai, lasciami stare. > farfugliai inspirando a fondo.
L’aria odorava così intensamente di borotalco e vaniglia, di gelsomino e muschio da farmi girare la testa.
< No. Conto fino a tre, poi... > minacciò ed io non lo lasciai nemmeno finire.
 
- Forza, Bella. Via il dente, via il dolore.-
Aprii la porta con lentezza esasperante.
Tenni gli occhi bassi, per non trovare i suoi divertiti, e le dita contratte sulla stoffa azzurro pallido di quell’abito largo e con la gonna svasata.
 < Merda... > soffiò Jake e deglutì così forte che persino io lo udii.
Mi arrischiai a guardarlo e lo trovai a scrutarmi allibito, con le iridi avide che schizzavano impazzite su tutto il mio corpo.
Sollevò, poi, le mani e se le passò sul viso, come a voler cancellare dalla sua espressione qualcosa che non voleva vedessi, che doveva rimanere nascosto dalla piega delle labbra e la curva delle sopracciglia.
Infine mi sorrise incoraggiante e mi prese per mano.
< Stai...uhm...stai... Vai da qualche parte? Serata tra ragazze? > quella domanda sembrava raschiargli le pareti della gola con rasoi taglienti.
La sua faccia faceva a cazzotti col tono che aveva usato e sembrava combattuto più che mai.
Il motivo, però, rimaneva un mistero per me.
< Veramente no... Ho fatto shopping con Ellie nel pomeriggio e...questo è...è... >
La mia lingua si rifiutava di collaborare.
Rimaneva ostinatamente incollata al palato e non voleva saperne di pronunciare una frasetta banale come "l’ ho indossato per te".
Lui annuì come se avesse capito e mai come in quel momento fui certa che fosse andato completamente fuori strada.
Se ci fosse stata Ellie si sarebbe fatta grosse risate alle spalle del nostro imbarazzo e del non voler muovere un passo per non pestare i piedi all’altro.
La timidezza era il nostro tallone d’Achille ed era sbocciata assieme all’amore, fiore ribelle schiusosi nel periodo sbagliato.
Quando eravamo stati semplicemente amici non ne avevamo vista nemmeno l’ombra.

- Gran bell’affare innamorarsi a questi livelli. -
< Carino, sì. > confermò Jacob, come se glielo avessi domandato.
Spostai il peso da una gamba all’altra e mi torturai le pellicine delle dita, sorridendo impacciata.

- Fantastico...e ora? -
Inspirai dal naso un paio di volte e poi aprii bocca con un pessimo tempismo:
< Jake, senti... > < Bells, ascolta... >

- Oh, andiamo. Possibile che decida di parlare proprio quando avevo recimolato abbastanza coraggio per farlo io per prima? -
Sbuffai e tacemmo di nuovo entrambi, senza accennare a spostarci dal centro esatto del corridoio.
Sembrava quasi che stessimo cercando di rimanere in equilibrio, mulinando disperatamente le braccia, su un piano che si inclinava e poteva farci cadere di schianto se soltanto avessimo allungato un dito, destabilizzando l’insieme.
< Al diavolo! > borbottò lui e chiuse la distanza tra noi con un passo.
Mi prese il viso fra le mani e mi baciò.
La lastra obliqua, al contrario di quello che mi ero aspettata, rimase ferma esattamente al suo posto.
Che fosse quello, quindi, il giusto equilibrio? Il nostro equilibrio?
Schiusi le labbra e accolsi la sua lingua, infilando le dita nei suoi capelli in un’estrema urgenza di sentirlo più vicino.
Si fermò troppo presto e mi lasciò ansante e con le labbra gonfie di baci umidi.
Poggiò la fronte contro la mia e strofinò il naso sul mio zigomo.
< Scusa, lo sai che le parole non sono il mio forte. Tu...io...oh, Cristo, Black ma che problema hai? > esclamò di colpo, rivolgendosi a se stesso.
Scoppiai a ridere e lui distolse lo sguardo.
< Vabbè, senti te lo dico così come viene, ok? Ok. Sei stupenda, Bells. > buttò lì, quasi a caso, arruffandosi poi i capelli sulla nuca.
Non trovai risposta adeguata da dargli, così per una volta feci anche io in modo che fossero le azioni a parlare più delle parole.
Mi strinsi a lui e lasciai che mi cullasse dolcemente, strisciando con le dita sulla stoffa liscia del vestito.
Mi morse le labbra, baciò le palpebre e sussurrò il mio nome decine di volte, quasi a volersi convincere di avermi davvero tra le mani.
 
- Non mi dissolverò come un cumulo di nebbia, non evaporerò come acqua, amore. Ti ho trovato, mi hai trovato. Non c’è altro posto in cui vorrei essere. Qui è giusto. Ora è il momento. -
Tremò. Tremai.
Insieme, stretti, in simbiosi.
L’uno aveva permesso all’altro di sopravvivere, di resistere stringendo i denti nell’attesa del ritorno.
Perchè io e lui ci calciavamo duramente via per poter leccare le ferite in solitudine, ma poi anche strisciando tornavamo indietro. Tornavamo sempre.
La strada era la stessa da una vita e alla fine avevamo imparato a orientarci anche senza bussola, carta geografica, stelle o punti cardinali, e a non perderci ai bivi sbagliati privi di indicazione.
Sorrise. Sorrisi.
Cercai di trascinarlo verso la camera da letto ma inciampai nel tappeto ripiegato.
Lui mi sostenne e sospirò prese in giro sul mio collo.
Corsi affannata verso i bottoni della sua camicia e la feci cadere giù, bandiera bianca che dichiarava la resa definitiva.
Basta guerra. Basta stragi, morti, feriti e mutilazioni.
Basta, basta. Pace.
Mi sollevò tra le braccia, posando i palmi aperti sulla mia schiena, lasciata scoperta dal vestito, e sotto le ginocchia.
Mi baciò ad ogni passo, senza più timore di vedermi scappare lontano.
A fuggire con un bagaglio pesante, d’ora in avanti, sarebbero state soltanto le mie sciocche paure.
Lui le scacciava con la sua sola presenza, con quel sorriso che annientava ogni granello d’oscurità annidato nel mio corpo.
Se anche fossero tornate sotto altre forme, serpeggiando silenziose, lui le avrebbe allontanate ancora, ancora e ancora.
Mi avrebbe protetto sempre, soprattutto da me stessa.
Mi adagiò sul letto e me lo trascinai dietro, intrecciandogli le gambe dietro la schiena.
Chiusi gli occhi e lasciai che le sue mani scoprissero il mio corpo un po’ alla volta assieme alla stoffa del vestito che veniva sollevata.
Erano una nuova prima volta e ci prendevamo quel tempo che non avevamo avuto la nostra unica sera.
Ci eravamo scambiati gesti disperati e baci rotti rubati a qualcun altro, senza concederci un momento per ricordare, per vivere davvero quel che stavamo condividendo quasi senza esserne pienamente consapevoli.
Adesso, invece, avevamo labbra, dita e pelle consapevoli.
Adesso io prendevo fuoco perchè lui bruciava e non m’importava di trasformarmi in cenere.
Non m’importava di nient’altro: scontri epici, battaglie, territori e mostri erano lontani, troppo lontani per poterli afferrare.
O forse eravamo io e lui ad essere distaccati dal resto del mondo. Sospesi in una bolla di sapone coriacea, senza dolore, senza vergogna, sospinti dai nostri respiri bollenti.
Come avrebbe sempre dovuto essere. Facile come respirare.
Mi baciò o forse fui io a baciare lui per prima.
Difficile dire cosa appartenesse a chi e quando lo avevamo ceduto.
Occhi negli occhi, mani sudate che scivolano sulle lenzuola pulite e profumate di bucato con ancora i segni delle mollette, sorrisi e impaccio gettati alla rinfusa insieme ai suoi boxer e alla mia biancheria intima, perchè non avrebbe mai potuto esserci amore tra me e lui senza quel pizzico di complicità che ci aveva unito anche mentre sorseggiavamo cola-cola nel suo garage davanti a delle moto che sembravano residuati bellici.
Il mio nome sussurrato a voce bassa, eco del suo, perchè il silenzio avrebbe potuto creparsi e avevamo già abbastanza cocci da rincollare così, senza bisogno di aggiungerne altri.
Le sue iridi nere erano specchi che mostravano soltanto me, mentre si faceva spazio tra le mie gambe.
Me e nessun’altra. Me per tutto il tempo, anche quello sprecato e che ancora non avevamo vissuto e forse non avremmo usato mai.
Domani poteva finir tutto.
Domani avrebbe potuto non esistere più niente. Noi, i bambini, le famiglie della riserva...niente.
Domani avrebbe potuto essere sparso sale sulla terra per renderla sterile.
Domani, domani.
Non oggi, non ora.
Infilai le unghie nella carne di Jake come la prima volta, senza aver paura di fargli male.
I mesi passati erano bastati ad entrambi: un dolore lancinante che avrebbe riempito una vita intera.
Piansi di nascosto, lasciando che affondasse piano in me.
Piano, per non farmi male. Piano, per incidere nella memoria l’attimo.
 
- Piano, amore, piano. -
Ed ogni bacio divenne consistente, quasi modellabile.
Una macchia nera sulla pelle a forma di labbra, un tatuaggio nel sangue che scorreva impetuoso nelle vene e tracciava la scia da seguire, come quella di una cometa.
Lacrime rosse come polvere di stelle.
La strada giusta illuminata a giorno, luce bianca traslucida a rischiarare due corpi complementari.
Ghiaccio che si scioglieva e ardeva come legna, bolliva come la cioccolata calda che lui aveva fatto attaccare al pentolino una sera che mi sembrava lontana ere.
Spinse piano, fino in fondo più volte.
Io mi mossi con lui perchè immobile non potevo rimanere.
La staticità non faceva più per me.
Le mie scelte mi avevano portato da tutt’altra parte: cuore muto, pelle di cristallo e corpo ibernato in un freddo perenne cos’erano?
Avevo davvero voluto morire di freddo una volta?
Quando?
Pazza, folle e incredula , ecco il modo in cui mi ero comportata. Disillusa.
Il sangue mi aveva sempre nauseato, non avevo davvero potuto pensare di cibarmene un’esistenza infinita intera.
Cieca in cerca di colori oltre il nero.
Caldo, quel che sentivo ora sui polpastrelli e nella pancia.
Caldo ovunque, che filtrava nei pori dell’epidermide e s’insinuva in ogni fessura disponibile.
Volevo le fiamme, le volevo in tutto il loro fervore.
Volevo bruciare facilmente come una meteora in collisione con l’atmosfera, come lo stoppino di una candela di cui Jacob sarebbe stata la scintilla.
Lui, che strusciava le mani sul mio corpo e cercava il punto esatto, tra quelle macerie fumanti, da cui iniziare a ricostruire.
Lui, lui. Sempre e solo lui.
Basta fantasmi, orfani e superstiti.
Basta, basta. Pace.
E quella richiesta sfuggì dalle mie labbra in un supplica mentre il ritmo aumentava.
< Ti amo. Ti amo. > gemetti mentre lui respirava e respirava dal mio collo, dalle ciocche, sparse sulle lenzuola, di nuovo lisce sui cui Ellie aveva perso più di un’ora col ferro.
Respirava e viveva. Sorrideva e faceva vivere anche me con i suoi battiti.
E quando pensai che il mio cuore fosse sul punto di spaccarmi le costole con una deflagrazione potente, spiccai il volo, tenendo per mano l’altra metà di me.
Sù, sù in alto, dove potevamo scintillare insieme, stelle gemelle di una stessa costellazione.
Spinse un’ultima volta e mi baciò, sussurrando due parole e cinque lettere totali che mi resero...felice era troppo riduttivo.
Era un qualcosa che le parole non potevano contenere e per questo avevamo bisogno di un’intera porzione di cielo tutta per noi.
Crollò al mio fianco senza lasciarmi, con la bocca premuta sulla mia tempia.
< Cazzo Bells... se prima non avevo parole, figurati ora... Scusa, non so cosa ti aspetti e... Porca puttana, sono un caso disperato. > risi come una ragazzina, come la prima volta che l’avevo visto e aveva provato a fare un trucchetto di magia per impressionarmi fallendo miseramente sotto i miei occhi.
Gli scompigliai i capelli e mi feci spazio tra le sue braccia, che sembravano essere state scolpite apposta con una nicchia della mia misura.
< Non ho bisogno di nient’altro... > mormorai e chiusi gli occhi.
Poi di colpo lui si alzò, infilò i boxer di corsa e sparì verso la cucina lasciandomi sola, nuda e piena di nuovi interrogativi e timori.
Cos’avevo fatto ancora una volta di sbagliato?
Non feci in tempo a rispondermi: Jacob tornò ostentando un sorriso gigante, dilaniato da quello che sembrava panico allo stato puro.
Sospirai sollevata e gli indicai di sedersi accanto a me.
Mi coprii col lenzuolo del letto e lui annuì un paio di volte, come se volesse convincersi di qualcosa.
A gambe incrociate, mani nelle mani e occhi negli occhi, vidi in suo coraggio sgonfiarsi come un palloncino bucato.
Tossicchiò, guardò altrove e di nuovo esclamò tutto insieme, con enfasi.
< Se proferisci parola, interrompendomi, non lo farò più, quindi fammi arrivare alla fine, ok? > annuii a metà tra il divertito ed il curioso.
< Bells, io non sono capace di infarcirti di cose smielate nemmeno fossi una torta. In quello era bravo Cullen... Io sono più per l’azione lo sai...solo che stavolta sono stato pure ostacolato...Cazzo, me ne andasse bene una. Di mezzo c’è l’età, la mancanza di soldi, uno sceriffo con fucile sempre carico, la tua allergia a questo genere di cose... > Infilò una mano in tasca e la ritirò fuori tenendola chiusa a pugno.
Sbuffò e accennò un sorriso tirato.
< Avrei voluto farlo in un altro modo, in un altro momento, con altre parole...ma quello l’avrai già visto e sentito e siccome io copio solo a scuola da Embry, sarò innovativo. Sei libera di sputarmi dopo, perchè me lo merito. >
Ancora un respiro, di quelli chilometrici che servivano ai maratoneti per gonfiare i polmoni e far spazio all’aria.
Le sue dita legarono svelte qualcosa, che non riuscivo a vedere perchè lui lo nascondeva con il braccio, al mio dito anulare sinistro.
Il mio cuore venne sparato nello spazio con un cannone.
< Sì, è un elastico da cucina. Sì, è di un orrendo giallo sporco e, sì, credo che questa sia la peggior proposta che si sia mai sentita –Rachel mi striglierà a dovere dopo- ma...Isabella Marie Swan,vuoi sposarmi non appena tutto questo sarà finito...e io potrò permettermelo, ovviamente? Cazzo, te lo dico ora e non so quando... Ci vorrà tempo e se... > non aveva fatto mezza pausa e stava iniziando ad assumere una strana sfumatura violacea, quindi mi sentii in dovere di intervenire.
Con l’amore che pulsava sulla punta della lingua, su quella delle dita e quella delle lacrime che versai, risposi un unico minuscolo e quasi muto "".
 

3 commenti:

Nalu ha detto...

*_________* Mamma mia....non ho parole per descrivere l'amore che ho provato per questo capitolo.... e l'amore che ho ritrovato!
Bellissima l'idea di contare i giorni così. L'attesa è iniziata e il giorno si avvicina. Ma si cerca di continuare a vivere, in qualche modo. e tutti quei piccoli momenti di vita quotidiana sono stati perfetti. Nonno Charlie preoccupato, Bella che allatta al seno i figli, l'incontro con i Cullen, la 'restaurazione' di Ellie....tutto bello! Ma ciò che mi è piaciuto di più è l'amore smisurato che Jake e Bella provano l'uno per l'altro. Davvero è gigante e infinito. E il loro impaccio e imbarazzo li rende ancora più teneri e dolci. E poi....la loro "seconda prima volta" (xD) è stata assolutamente meravigliosa. Leggevo e mi immaginavo le scene quasi come se fosse un film, con una semplicità unica. Perchè loro sono così:semplici. "Facile come respirare" ben detto Jake, e qui vi è la dimostrazione. Mi è piaciuto davvero tanto tanto tanto tanto tanto <3 Ma vogliamo parlare della cucciolosità di Jake in tutto l'ultimo giorno?? Dalla sua preoccupazione per Bella, che non usciva dal bagno, alla sua reazione alla vista di lei, al tentativo di non mostrare l'ansia, alle sue frasi prive di contorni e abbellimenti ma perfette nel concetto.....fino alla proposta....Beh quella è stata dolcissima! E chi se ne frega se era un semplice elastico! Bells ha capito..... E, niente: loro sono L'AMORE <3 E li amo sempre più! <3
Ellie, che te lo dico a fare: sei bravissima e ti faccio un fragoroso applauso virtuale! <3
Baci, Nalu <3

Anonimo ha detto...

Questo è in assoluto uno dei capitoli più belli di questa storia. IN ASSOLUTO. Innanzitutto, complimenti per l'originalità del conto alla rovescia, non mi sarebbe mai venuto in mente come autrice ed è stata una cosa molto originale, oltre che ben fatta, accompagnata da scenari uno sempre diverso dall'altro e caratterizzato in modo particolare ma perfetto in tutto, scenari che penso siano sogni di Bella. Penso. Mi è piaciuti davvero moltissimo ilpunto in cui scrivevi in grassetto, ripeto, è una cosa originalissima e fatta molto bene. Hai usato qualsiasi cosa della quotidianità di tutti i giorni per descrivere un conto alla rovescia soffocante, oltre che quegli incubi spettrali. Complimenti davvero, già solo per questo. =)
Comunque, oltre questi scenari, ci sono i veri e propri momenti di vita quotidiana di quei cinque miseri giorni.
La prima scena è molto tenera e dolce, soprattutto quando Jake le accarezza il braccio in un gesto d'amore, piccolo e insignificante a gli occhi degli altri, prezioso come l'oro per la nostra Bells. Poi c'è la discussione sulla sua presenza e il fatto che stavolta Bella voglia essere presente e che non voglia far pesare tutto sugli altri mentre lei se ne sta al riparo ci fa capire due cose:1) Bells è cresciuta, ha capito che fuggire dai problemi elasciarli risolvere agli altri, non serve a nulla, che quello che ha fatto solo un anno prima è sbagliato; 2) che conosce Jacob, che sa che lui non abbandonerà la guerra come ha fatto Edward e che se glielo chiedesse lo metterebe in grandissima difficoltà quindi, pur di stargli vicino, decide di scendere anche lei in campo, privandosi di due delle tre parti della sua vita. i gemelli. Mi è piaciuta tanto questa Bella, combattiva e che per il bene di tutti va contro il suo Jacob Black. <3 L'ho adorata e ho adorato Jake così...piccolo e in difficoltà. Mi ha fatto tanta tenerezza e se penso che a quest'ora dovrebbe avere...cavolo, solo uno/due anni più di me!>.< povero cucciolotto, lui! <3
Comunque, lasciando da parte gli occhi a cuoricino e lo zucchero filato- che a me manco piace, puah!- andiamoavanti che da scriverne ne ho pure troppo!
La secondo scena di vita è quella Charlie. Ah, Charlie, il vecchio e antico Charlie Swan! Allergico a discorsi particolarmete intimi ma che vuole la figlia sposata! Sai in quale punto l'ho adorato??? Questo qui "< Almeno lui è simpatico. Cullen aveva la faccia da triglia lessa, con quegli occhi spiritati fuori dalle orbite e il colorito pallido. >" Aaaaaaahhhh!!!! Charlie, ti stimo dal profondo del cuore!!!! <3 xD Mi ha fatto morire, giuro!!!! Ho iniziato a ridere come una pazza davanti allo schermo!!! xD

Anonimo ha detto...

PARTE II
Comunque, passando avanti- che sennò qui non finiamo più- è stata molto bella la scena con i Cullen, insomma, loro mi stanno simpatici, è solo Edward che nonmi scende proprio giù. Edward e Rosalie, ecco. Ma la partepiù bella in assoluto è stata quella di quando ha ripensato alla prima volta che ha visto Jacob in forma di lupo e lei ancora non sapevo che lui fosse ciò che era- Dio, che discorso complicato, non ci avrai capito una mazza!!!>.<- e tutto quello che segue. Da far venire di nuovo gli occhi a cuoricino. <3
Poi, arriva giovedì e che succede??? Succede che, a parte la telefonata con Renee- ah, quindi non solo la mia è così apprensiva, in generale????-, c'è la comparsa di Ellie. <3 Ah, quanto mi piace quella ragazza!!! <3 Comunque, la adoro, non le assomiglio PER NIENTE, ma la adoro, c'è poco da fare. xD E l'ultimo giorno...beh, ha bisogno di commenti? E' bellissimo il primo pezzo in cui lei è chiusa in bagno, imabrazzatissima, è bello quando apre la porta, è bello quando sono entrambi imbarazzati come ragazzini- quali sono in base alletà, tra l'altro- èbello quando lui manda al diavolo il contegno e la bacia, è bello questo pezzo qui "Poggiò la fronte contro la mia e strofinò il naso sul mio zigomo.
< Scusa, lo sai che le parole non sono il mio forte. Tu...io...oh, Cristo, Black ma che problema hai? > esclamò di colpo, rivolgendosi a se stesso.
Scoppiai a ridere e lui distolse lo sguardo.
< Vabbè, senti te lo dico così come viene, ok? Ok. Sei stupenda, Bells. > buttò lì, quasi a caso, arruffandosi poi i capelli sulla nuca.", è bello quando fanno l'amore, perchè sono loro che finalmente si ritrovano copro e anima, è bello quando lui se na va così, senza spiegazioni e torna con un elastico e le chiede di sposarlo, è bello quando lei gli risponde di si, perchèstavolta no, non si sposa sotto ricatto, per forzatura, senza che lei lo voglia veramente, è bello tutto perchè sono seplicemente loro, Jake e Bells. E' bello, punto. <3
Complimentissimi, zietta, complimenti. Sei davvero davvero tanto brava, complimenti <3 <3
Ti adoro <3
Maria <3

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