"Una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine,
che tutto è destinato a finire ma che tu puoi sempre scrivere un seguito;
che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
Una ragazza che legge comprende che le persone, come i caratteri, si evolvono.
Eccetto che nella serie di Twilight.
Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta:lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre."
Rosemarie Urquico.

domenica 22 luglio 2012

Rebirth Dawn Capitolo VII

VII
- Comandamenti -

*Nulla è di per sé veleno; tutto è di per sé veleno; è la dose che fa il veleno.
Ecco il problema di fondo, quindi: la quantità.
Potevo anche esser SEMPLICEMENTE nociva, ma maggiormente le persone venivano a contatto con me, più era alto il rischio di contagio.
Ero una portatrice sana di veleno. Un veleno che non palesava sintomi, eccezion fatta per il cuore spezzato.
Bastava guardare come avevo ridotto Edward -un essere immortale!-, mio padre -l'uomo geneticamente programmato per volermi bene- e...il mio migliore amico -l'unico che sapesse capirmi-.
Dal primo all'ultimo erano stati fatti a pezzi dalla mia presenza, dalla mia vicinanza.
Edward, quel giorno nella radura, non era andato poi tanto lontano dalla realtà: non ero propriamente eroina, ma producevo gli stessi effetti.
Appena presa fornivo gioia ed esaltazione. Una volta lontana creavo dipendenza, astinenza.
Tutto questo portava ad una sola conclusione: non sarei potuta rimanere troppo a lungo nemmeno accanto a mia madre.
Sarei davvero dovuta andarmi a rintanare al Polo, sperando che almeno i pinguini fossero immuni alla tossina che sembrava circolarmi nel sangue.
Dovevo, ad ogni costo, impedire che qualcun altro venisse avvelenato inconsciamente dalla mia presenza.
Rischiavo di causare un'epidemia mondiale!












Bucai il foglio con la penna alla terza riga.
Stavo per scrivere il suo nome sovrappensiero e non avrei retto. Non sarei riuscita più a tenermi insieme, nemmeno fossi un vecchio vaso di porcellana rotto e maldestramente rincollato.
Ripiegai con cura quel pezzetto di carta, che rievocò quello che avevo lasciato a LUI accanto al cuscino quella magica sera, e me lo infilai nella tasca posteriore dei jeans.
Con quel gesto ripromettevo a me stessa di seguire alla lettera quelle regole che, d'ora in avanti, sarebbero state come i dieci comandamenti di Dio dati a Mosè.
I cinque comandamenti di Isabella Marie Swan.
Inviolabili. Ferrei. Sacri.
< Bella, ti presento Lilian Gray, una delle nostre vicine. Si è trasferita qui circa un annetto fa. >
La donna che mi tendeva una mano sorridente doveva avere pressappoco l'età di mia madre.
Aveva lucenti capelli color grano tagliati a caschetto, luccicanti occhi verdi dietro occhiali dalla montatura stravagante di un viola acceso ed un seno prosperoso, nonostante la vita sottile.
Gliela strinsi con un mezzo sorriso abbozzato e poi tornai a leggere il libro che avevo appoggiato sulle gambe senza aggiungere altro.
- Step five, Bella. Step five, ricorda -
Mia madre e la sua amica rimasero per un po' ad osservarmi e poi, forse scoraggiate dal mio scarso interesse, si diressero in cucina.
Cercavano di coprire ciò che si dicevano sferragliando con padelle e ciotole, che in realtà non stavano affatto usando, ma qualche brandello di conversazione mi giunse lo stesso.
< ...apatica...non esce mai... >
< ...molto bella...decine di ragazzi...peccato...>
< ...fare qualcosa per lei...un'amica... >
< Avete finito di parlare di Bella come se non potesse sentirvi? Avete un tono di voce tale che, anche impegnandosi ad ignorarvi, di sicuro avrà sentito tutto. Siete le solite! Sembrate due vecchie comari annoiate! >
Alzai gli occhi dalle pagine del libro e li posai sulla ragazza che aveva stuzzicato, con aria divertita ma vagamente infastidita, mia madre e Lilian.
< Scusale, fanno sempre così. Ti abituerai. > alzò le spalle e sbuffò, facendo volteggiare in aria una ciocca di capelli che le era caduta sul viso.
< Oh, Harm, sei qui! > Lilian uscì dalla cucina trafelata, facendo finta di lucidare una scodella perfettamente pulita.
Harm, più che una ragazza della mia età, sembrava uscita da un libro di mitologia greca; uno di quelli con rappresentazioni di divinità dalla bellezza abbagliante ma perfettamente umana -cambiamento notevole, per me!-.
Era alta, con lunghi capelli di un biondo platino raccolti in una treccia. Aveva incredibili occhi verdi sapientemente truccati, una pelle perfettamente abbronzata ed un fisico snello che avrebbe fatto invidiava anche ad una modella.
< Mamma, smettila di chiamarmi così. > asserì brusca la ragazza, aprendosi poi in un sorriso gioioso che rivolse a me < Piacere, Bella, io sono Ellie. >
Lilian, alle sue spalle, alzò gli occhi al cielo < Eleanor Harmony Gray, veramente. > precisò, rimediandosi un'occhiataccia da parte della figlia.
< Ellie, ho detto. Se volevi sbandierare a destra e manca un nomignolo orrendo come 'Harm' avresti dovuto registrare all’anagrafe Harmony come primo nome. Fortunatamente papà non te l’ha fatto fare, quindi dacci un taglio! >
< Andiamo, ragazze, non c'è bisogno di bisticciare sempre per la stessa storia. > mia madre uscì dalla cucina con una spugna insaponata tra le mani e una bonaria aria di rimprovero dipinta in viso.
< No, infatti. Io e Bella ora togliamo il disturbo, vero? > Ellie mi afferrò per un braccio, senza darmi tempo di obiettare o di salutare, e si precipitò fuori dal salotto, dove le nostri rispettive madri avevano ripreso a parlottare fitto.
Una volta giunte in giardino si fermò e mi guardò allegra e spensierata.
Nei suoi limpidi occhi smeraldini si rifletteva il cielo terso di Jacksonville.
Mi strinsi nelle spalle, a disagio.
< Tremende, vero? Da quando si sono conosciute sono diventate inseparabili e questo per me comporta il doppio delle seccature. E' come avere due madri. > finse di rabbrividire < Terribile! E sarà così anche per te, d'ora in avanti, Bella. Dobbiamo coalizzarci anche noi! > esclamò convinta, strizzandomi un occhio.
Abbozzai un sorriso, non sapendo cosa rispondere.
Quella ragazza mi aveva completamente ammutolito.
Stringere amicizie non era propriamente il mio forte e quelle poche volte che lo facevo cercavo qualcuno un po' simile a me: taciturno e quieto.
Una come Ellie non l'avrei mai nemmeno avvicinata: era troppo esuberante e vulcanica per i miei gusti ed io non stavo certo cercando l’ennesimo stravolgimento della mia monotona tranquillità.
< Sto esagerando, vero? Impara a mettermi dei freni, sono una che parla a ruota libera e spiattella tutto quello che le viene in mente senza tanti complimenti. > farneticò agitando le mani.
Di colpo sembrò rendersi conto che non avevo aperto bocca da quando si era presentata e così tacque per qualche attimo, arrossendo.
Quando era imbarazzata era ancora più carina. Doveva avere decine di spasimanti!
Era proprio il mio opposto.
Dovevo sganciarmi in qualche modo, cercando di non sembrare troppo brusca.
- Step five, step five! -
< Senti, Bella, che ne dici di farci un giro? > propose come colta da un improvviso lampo di genio < Andiamo a fare un po' di shopping e ci conosciamo meglio. Dal momento che siamo vicine di casa passeremo molto tempo insieme, conviene approfittarne! >
Arretrai involontariamente, intimorita.
< Non ho bisogno di comprare niente. > borbottai, desiderosa solo di riprendere la lettura del mio libro da dove l'avevo interrotta e isolarmi dal resto del mondo.
< Oh, beh, allora mi consiglierai. Sarà divertente, vedrai. > Ellie mi ghermì un braccio, speranzosa.
Perchè quella ragazza desiderava tanto la compagnia di una musona come me?
Che me l'avesse sguinzagliata dietro mia madre, augurandosi che mi desse una scrollata e mi facesse riprendere a vivere?
Perchè era così difficile accettare che io non volevo più farlo?
Volevo vegetare, trascinarmi avanti nei giorni facendomi scivolare tutto addosso.
Non avrei, così, corso il rischio di ferire ancora qualcuno.
Dovevo tenere tutti a debita distanza, ero velenosa.
< No, grazie, Ellie. Non ho voglia di uscire e poi…non ho un gran gusto. > le dissi con quanto più tatto possibile, districandomi dalla sua presa.
Me lo diceva sempre Alice che avrei dovuto interessarmi di più alla moda e che i jeans comodi non erano un capo d’abbigliamento all’ultimo grido.
Inaspettatamente, nel ripensare a lei, provai una forte nostalgia.
Quanto mi mancavano la sua risata argentina ed il suo profumo dolce, che mi inebriava ogni volta che mi stringeva tra le braccia marmoree.
Era la cosa più vicina ad un’amica che avessi mai avuto, ma questo non mi aveva impedito di farle del male.
Velenosa, ero velenosa. Dovevo ricordarmelo bene.
Ellie mi guardò come se l'avessi schiaffeggiata e mi sentii vagamente in colpa.
< Ho capito. Scusami, sono stata invadente come al mio solito > si strinse nelle spalle < E' solo che...che volevo aiutarti. Sembri così triste ed io non sopporto lo sconforto nello sguardo della gente. Mi sento sempre in dovere di fare qualcosa. > spiegò con modi spicci, mordendosi poi il labbro inferiore con nervosismo, come facevo anch'io.
Mi sorpresi a provare una specie di calore per quella ragazza sbarazzina che si interessava a me e si preoccupava del mio umore, nonostante mi conoscesse soltanto da una decina di minuti.
< Ti ringrazio del pensiero, ma... >
< No, aspetta, ci sono! Dovremmo fare qualcosa di più consono alla tua personalità! Che sciocca sono stata a non pensarci prima! Vieni con me! >


 
Quando Ellie dischiuse le porte del piccolo negozio polveroso in cui mi aveva trascinato un odore di pagine ingiallite mi diede un caloroso benvenuto.
La fievole luce proveniente dall’interno dava un’aria di sacralità religiosa all'ambiente, nemmeno mi avesse condotto in un antico monastero.
Mossi qualche passo incerto sul parquet tirato lucido guidata da Ellie, che sembrava sapersi muovere perfettamente nonostante la scarsa illuminazione.
Forse dovevo informarla della mia rinomata goffaggine ed avvertirla che avrei potuto inciampare e rovinarle addosso.
Feci per aprire bocca ma lei si fermò di colpo e si girò estasiata verso di me, spalancando le braccia teatralmente < Che te ne pare? > domandò curiosa e soddisfatta allo stesso tempo.
Strizzai gli occhi, cercando di scrutare oltre le sue spalle per capire in che diavolo di posto mi avesse condotto, e quando lo capii, ne rimasi piacevolmente affascinata.
Una biblioteca.
Dietro Ellie si estendeva un mare di sapienza inimmaginabile, impilato ordinatamente su scaffali di legno di faggio -o forse acero?-.
Decine di librerie traboccanti di volumi pesanti ed elegantemente rilegati si ergevano in tutta la loro imponenza in uno spazio che non era affatto piccolo come mi era sembrato all’inizio.
Era maestoso.
Superbamente ed impressionantemente fantastico.
Mi sentivo Alice che scopriva il Paese delle Meraviglie e ne osservava ogni dettaglio con avidità.
Senza aprire bocca superai la mia accompagnatrice e scesi i tre scalini che mi separavano dalla prima libreria, leggendo una delle targhette che svettavano in cima ad ogni scaffale.
“Letteratura classica”.
Inspirai.
Espirai.
E mi sentii a casa per la prima volta da quando me n’ero andata da Forks.
Ellie mi fissava con sguardo sornione, come se avesse appena vinto un terno al lotto.
Non avevo idea che esistesse un posto simile a Jacksonville; eravamo finite in un quartiere della città che non avevo mai esplorato nelle mie precedenti visite a Renèe, poichè non godeva di un'ottima fama.
Al primo vicolo in cui Ellie aveva svoltato con sicurezza –il primo di tanti- mi ero già persa.
Senza di lei non sarei stata in grado di tornare a casa nemmeno con bussola e cartina.
Accarezzai con riverenza la superficie rugosa di quei libri dall’aspetto consunto, reso tale dalle tante mani che prima di me lo avevano toccato, e ne presi uno a caso, sfogliandolo con rispetto ossequioso, come quello di un collezionista d’arte di fronte ad un’opera di inestimabile valore.

E tu, notte, tu pronuba agli amori,
ammantaci della tua nera veste,
sì che possan le palpebre del giorno
chiudersi finalmente sulla terra
e il mio Romeo possa balzare qui,
tra le mie braccia, da nessuno visto,
e da nessuno udito.
Per celebrare i riti dell’amore
gli amanti vedon bene anche di notte,
illuminati dalla lor bellezza;
perché se è vero che l’amore è cieco,
il buio della notte è il suo elemento.
Scendi, o notte solenne, tu, matrona
sobria matrona mia nero-vestita,
ad insegnarmi come devo perdere
una partita vinta, la cui posta
son due verginità incontaminate.
Nascondi sotto il tuo nero mantello
l’indomabil mio sangue
che sento palpitar sulle mie guance,
sì che l’amore mio, fattosi ardito,
e vinto ogni residuo pudore,
veda nell’atto del sincero amplesso
nient’altro che pudica castità.
Oh, vieni, o notte, e portami con te
il mio Romeo, giorno della mia notte,
che spiccherà sulle tue ali nere
più candido di neve mo’ caduta
sovra il dorso d’un corvo!
Vieni, amorosa ed accigliata notte,
e dammi il mio Romeo;
e quand’egli morrà, tu, notte, prendilo
e ritaglialo in mille pezzettini
da farne tante piccole stelline:
farà sì bella la faccia del cielo,
che tutto il mondo non avrà più occhi
che per te, notte, e non farà più omaggio
d’adorazione al risplendente sole…”

Bum.
Di nuovo.
Fui annientata ancora.
E dire che pensavo di non possedere più alcunchè dentro che rischiasse la distruzione.
Lasciai cadere il libro tremando convulsamente e crollai accanto ad esso, esplodendo in un muto grido di dolore e lacerazione.
Ellie corse accanto a me, preoccupata, e mi abbracciò con dolcezza, accarezzandomi i capelli per tentare di tranquillizzarmi.
< Shhh, è tutto ok, Bella. Inspira ed espira piano. Passa, vedrai. > sussurrò cullandomi come un'amorosa madre che bisbiglia una ninna nanna alla figlioletta impaurita da un incubo.
Non aveva idea di ciò che quelle parole avevano scatenato in me: Bells era riemersa dal meandro oscuro della mia anima, dove avevo incatenato sia lei che Bella, ed ora seminava morte e distruzione ovunque passasse, vendicandosi della sua prigionia.
- Alla faccia degli steps per ucciderle! – ironizzai tra me e me, reggendomi lo stomaco che si contorceva spasmodicamente.
Singhiozzai, serrando le dita attorno al braccio minuto di Ellie, che continuava a consolarmi, fregandosene dell'attempato bibliotecario che ci fissava perplesso da dietro il bancone delle prenotazioni.
Perchè mi era dovuto capitare tra le mani proprio Romeo e Giulietta?
E perchè nel rileggere quei versi tanto amati, che avevo sempre associato ad Edward, mi era venuta in mente la faccia da schiaffi del mio ex migliore amico, colui che era sempre stato relegato al ruolo di Paride?
Il destino si faceva beffe di me e si divertiva a rigirare quel ferro arroventato nelle mie carni anche se, in fondo, forse era una giusta punizione per le mie colpe.
Singhiozzai più forte, odiando il mio corpo che ancora non ne voleva sapere di farmi versare una sola lacrima di conforto.
Cercavo di darmi un contegno ma non ci riuscivo.
Mi aggrappavo a Ellie disperata, allo stesso modo in cui un naufrago in mezzo al mare in tempesta si sostiene ad un ciocco di legno, unica sua salvezza.
Non sapeva nulla di me e del mio passato e sembrava non interessarle nemmeno. Mi abbracciava stretta, con affetto, consolandomi come poteva, aspettando che riuscissi a calmarmi da sola, imprigionando di nuovo Bells.
Restai avvinghiata a lei per un’eternità –realisticamente, forse furono solo una manciata di minuti- e quando finalmente mi staccai dovevo avere gli occhi gonfi come quelli di un pesce palla.
Fortuna che non usavo trucchi o sarei stata un incrocio tra quello ed un panda.
< Meglio? > chiese premurosa, passandomi un fazzolettino che estrasse dalla sua pochette.
Fissai con sguardo colpevole la sua maglietta sbrindellata dalle mie unghie ed annuii, soffiandomi il naso.
Fantastico! Ero riuscita a fare una pessima figura anche con una estranea, come se non bastassero quelle che facevo ogni giorno con persone che mi conoscevano bene.
Cercai di alzarmi da terra ma incespicai nei miei stessi piedi e dovetti sorreggermi da uno scaffale, che dondolò paurosamente, per non cadere.
< Ragazze, tutto bene? >
Il bibliotecario ci si era avvicinato senza che ce ne accorgessimo.
Sembrava una persona gentile, una di quelle che, soltanto a guardarle in viso, riesci a catalogarle come oneste.
Merce rara di questi tempi, quindi.
Aveva l’aria di un settantenne ma i suoi occhi scuri e vivaci, leggermente socchiusi, davano a intuire che si portasse male i suoi anni.
Ellie si girò e quasi lo abbracciò entusiasta < Signor Smith, che piacere vederla, si ricorda di me? >
L’anziano uomo si aprì in un sorriso storto, che sapeva di tenerezza ed annuì.
Tirai su col naso ed a quel punto la mia accompagnatrice fece le dovute presentazioni.
< Oh, un’altra appassionata lettrice. > osservò, chinandosi poi rigidamente, come un automa dalle giunture arrugginite, a raccogliere il volume che ancora giaceva a terra.
< Romeo e Giulietta. Scelta interessante. Fa commuovere sempre un po’ anche mia mogli.e > mi strizzò l’occhio bonario e rimise il libro al suo posto, dopo l’Amleto.
< Se avete bisogno di me, chiamatemi pure. Oh, Bella, ricordami di farti la tessera quando esci. Ho idea che ci vedremo spesso. > borbottò divertito, ritornando zoppicando alla sua postazione di controllo.
Era un personaggio singolare, tuttavia provai un immediato affetto per lui, quasi fosse mio nonno.
Ellie mi prese per mano e si incamminò in uno dei lunghi corridoi che separavano le librerie, illuminati da lucette al neon, che si accendevano al nostro passaggio.
Di nuovo, come Alice, mi lasciavo incantare dalla bellezza degli scaffali finemente decorati e dalle variopinte copertine che sembravano ali di innumerevoli farfalle posate su fiori di truciolato.
Il profumo di carta stampata mi inebriò e mi tranquillizzò un po’, acquietando i tremori del pianto.
Sconsolata, realizzai che dovevo una spiegazione ad Ellie, come minimo, ma non mi sentivo pronta a darne. A nessuno.
Ci fermammo di fronte lo scaffale che recava l’etichetta “Minerali” e ci sedemmo l’una di fronte l’altra al piccolo tavolino rotondo che veniva utilizzato per la consultazione dei testi.
Lei mi studiava interessata, sottoponendomi ad un attento esame come fossi l’ultimo esemplare di una specie ormai estinta tipo un cucciolo di tirannosauro rex; io torturavo le mie dita imbarazzata, con la faccia dello stesso colore dei pomodori maturi.
< Come si chiama? > domandò d’improvviso, tirando fuori dalla borsetta un pacchetto di sigarette, che però rimise via, ricordandosi il posto in cui eravamo.
Finsi di non capire < Chi? >
< Il tuo Romeo. > rispose lei svelta, come se si fosse aspettata la mia domanda.
Dai suoi occhi capivo perfettamente che non avrebbe mollato la presa, ma io non potevo parlare con qualcuno della sera in cui…
- Step one, Bella. Preservati dal dolore! -
Se avessi condiviso i miei ricordi ed i miei pensieri credevo che li avrei in qualche modo “sciupati” e che, col passare del tempo, sarebbero sbiaditi fino a scomparire.
Ed io non volevo che scolorissero. Volevo che rimanessero vividi.
Erano l’unica cosa che mi restava di LUI e, inoltre, mi servivano per non dimenticare che essere spregevole ero.
Più che altro, poi, avevo il cervello in panne in quel momento.
Non sarei riuscita a rispondere alla sua domanda nemmeno volendolo, dato che il “mio Romeo”, come lo definiva lei, sembrava un camaleonte.
Nella mia testa il suo viso era in piena trasformazione ed evoluzione.
L’incarnato del viso passava dal bianco latte al cioccolato fondente; i capelli dal bronzo al piombo; gli occhi dall’oro alla pece.
L’avvolgente legno intarsiato divenne rigido marmo scolpito in un battito di ciglia.
Caldo, freddo. Freddo, caldo.
Caldo, bollente, ustionante.
Repressi un conato di vomito, reggendomi la testa.
< Ellie, scusami ma non… >
< …te la senti di parlarne. Lo capisco. È troppo presto ed io sono una estranea per te. Me l’aspettavo una risposta così, ma ci ho provato lo stesso. Vorrà dire che dovrò faticare un po’ di più per riuscire a capirti. >
Si appoggiò indifferente allo schienale della sua sedia imbottita e mi sorrise con dolcezza.
< Dunque, vediamo, se non vuoi parlare di te potrei raccontarti di me, che ne dici? Così mi conoscerai un po’ meglio, no? >
Inutile dire che non mi diede modo di risponderle.
Ingranò la quarta iniziò a narrare la sua storia dall’infanzia felice che aveva trascorso a Los Angeles con sua madre, suo padre e suo fratello minore, Nathan, condendola con scenette di vita familiare che io non avevo mai vissuto e che potevo soltanto immaginare.
Poi, con sguardo velato di tristezza, mi raccontò del difficile divorzio dei suoi genitori che, nonostante si amassero ancora molto erano diventati incompatibili caratterialmente, e di come, in seguito, la famiglia si spaccò: lei e sua madre vennero a vivere qui mentre suo fratello e suo padre si trasferirono a New York.
Si sentivano solo per le feste ricordative con una banale cartolina di auguri, ormai.
Conclusa la parentesi sulla sua situazione familiare, Ellie elencò una sfilza innumerevole di cose che la facevano impazzire come il clima di Jacksonville -sempre soleggiato che le garantiva quella perenne abbronzatura dorata-, il ghiacciolo all’amarena, le canzoni dei Flyleaf –che io non avevo mai nemmeno sentito nominare- e la pasta italiana.
Frequentava il College solo perché Lilian non voleva vederla buttare la sua vita e lei non voleva deluderla e darle l’ennesimo dispiacere.
Aveva la mia età, era del segno dell’ariete ed era appassionata di astrologia.
La nostra accoppiata, a sentire lei, era complessa: una specie di miscela esplosiva che, a seconda della buona volontà messa da entrambe, avrebbe potuto far scintille…o produrre un’esplosione terrificante.
Una bella prospettiva, insomma.
Giocava a pallavolo nel tempo libero, fumava più per vezzo che per vizio ed aveva un portafoglio buffissimo con un personaggio dei cartoni animati disegnato sopra.
Odiava il nero, il grigio ed il marrone; la cioccolata fondente, l’odore di cacao amaro, le persone ipocrite e quelle tristi. Più che altro odiava sentirsi impotente e non avere il potere di aiutare chiunque le stava intorno soltanto alzando un dito.
Era l’ottimismo fatto persona: la classica tipa che vedeva il bicchiere sempre mezzo pieno.
Non aveva animali ma le sarebbe piaciuto tanto possedere un panda o un koala, che le suscitavano immediata tenerezza.
Detestava il nomignolo con cui la chiamava sua madre ed aveva un incisivo scheggiato, rottole da suo fratello quando erano piccoli.
Inoltre amava il mare, detestava la montagna, aveva paura degli insetti ronzanti ed era una lettrice appassionata, per questo conosceva quella biblioteca ed il suo proprietario.
Quando tacque mi sembrava di conoscere lei meglio di quanto conoscessi me stessa.
Non aveva nemmeno preso fiato tra un aneddoto della sua vita e l’altro; era una fonte inesauribile di parole e più di una volta mi aveva fatto sorridere con le smorfie che faceva inconsciamente mentre raccontava.
Ascoltarla era piacevole e con lei le ore volavano veloci.
Difatti mi resi conto che nel frattempo si era fatto tardi solo perché il signor Smith ci venne ad informare che stava per chiudere.
Uscimmo all’aria fresca con rammarico.
Era tremendo lasciarsi alle spalle quell’accogliente sensazione di familiarità e sicurezza.
Tuttavia, inspirai a pieni polmoni la brezza frizzantina della sera di Jacksonville, e mi sentii stranamente leggera.
Ellie aveva riattaccato a parlare, rimproverandosi di non avermi aggiornato sulle sue catastrofiche esperienze d’amore, ma io non l’ascoltavo più.
Le camminavo accanto, lasciando che le sue parole mi accarezzassero l’udito e rasserenassero l’umore.
Dovevo ringraziare Lilian, l’indomani, per aver messo al mondo quella specie di forza della natura.
Se Ellie era nei paraggi era impossibile restarsene ferma a commiserarsi, lasciando che il mondo continuasse a girare mentre tu raccoglievi i pezzi di te stessa.
Dovevano brevettarla: era un vero e proprio toccasana per il morale ed io, inaspettatamente, mi sentii fortunata ad averla incontrata.
Avrei dovuto tenerla lontana da me, lo sapevo, eppure non volevo.
- Al diavolo i miei comandamenti! -
Ellie mi aiutava a rendere le nuvole del mio cielo meno minacciose, come tempo addietro aveva fatto…LUI e per questo, forse, decisi che non l’avrei respinta.
Se avesse voluto starmi accanto gliel’avrei lasciato fare.
Avevo bisogno di lei.
Avevo bisogno che qualcuno mi tirasse fuori da quel pozzo profondo in cui ero precipitata senza riuscire più ad uscirne.
Sperai solo che Lilian le avesse fornito un antidoto naturale al mio veleno quando l’aveva messa al mondo.
-Stupendo!- pensai, sospirando.
Avevo trovato l’ennesima droga da cui essere dipendente; proprio non ero capace di vivere senza averne una.
Non più Edward.
Non più l’allegria di LUI.
Ora, l’amicizia di Ellie.
 
*Aforisma di Paracelso

1 commenti:

Unknown ha detto...

Me ne avevi parlato e non vedevo l’ora di conoscere la tua Ellie. E ora che ho avuto il piacere il responso è che mi piace. È un uragano dal fisico perfetto. Ma credo che dietro la bellezza e le chiacchere a mille nasconda molto di più. E capisco come Bella che in tutto è l’esatto opposto sia attratta da lei. è come la falena con la luce del sole. È veramente un immagine speculare di Jake. E credo che per Bella la sua vicinanza la porterà immancabilmente a pensare a lui. nonostante i suoi comandamenti…che avranno vita breve . e qui la mia rabbia nei confronti della Tonna ritorna. Credo che tutte abbiamo stillato nella mente simili regole per sopravvivere ad una batosta amorosa. Ma qui miss capitano tutte a me- la mia vita fa schifo. Che cavolo ha da recriminare? È lei che ha spezzato anzi frantumato il cuore di un ragazzo perfetto. Che pure il suo ne sia uscito male è stato solo colpa sua. Non capisco, o meglio non accetti che ora lei si comporti , da soffro e devo morire da sola. Insomma sta reagendo all “abbandono” di Jake come fece con Edward con alienamento. Ma come si fa a vivere in quella maniera? Jake all’epoca fu fin troppo buono con lei, spero che Ellie li dica senza mazzi termini che è una cretina patentata e che è ora che cresca.

Scusa ma davvero non la sopporto .

Ora parliamo della metafora del veleno. Bella? No di più. Sei partita da un affermazione filosofica e l’hai continuata, l’hai integrata perfettamente nel testo e nel modo di pensare di Bella. È un pensiero così da lei che sembra scritto dalla Myer.

Infine da grande estimatrice di Romeo e Giulietto, hai preso il mio monologo preferito in assoluto. Giulietta che aspetto Romeo la prima notte di nozze, giulietta che aspetta di aprirsi all’ amore., giulietta che è piena di speranze. Bella si è sempre immedesimata in giulietta e io non posso essere c he d’accordo. Ma non per i motivi che tutti credono per il suo amore forte per romeo, per l’amore impossibile. Giulietta era una ragazzina, lo era più di Bella, ha amato, quell’amore forte e che stravolge tutto com’è tipico o del primo amore. Ma come giulietta non ha saputo amare fino infondo. Romeo e giulietta è una tragedia, perché due ragazzi di 16 anni non riescono ad affrontare gli eventi della vita vera, e non riescono a vivere l’amore perché travolti da esso. Bella ha fato la stessa cosa sia con Edward e con Jake. È il risultato è che ora è sola senza sapere più chi sia il suo romeo.

Non vedo l’ora di leggere il prossimo

Un abbraccio immenso.

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