"Una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine,
che tutto è destinato a finire ma che tu puoi sempre scrivere un seguito;
che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
Una ragazza che legge comprende che le persone, come i caratteri, si evolvono.
Eccetto che nella serie di Twilight.
Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta:lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre."
Rosemarie Urquico.

sabato 21 luglio 2012

Rebirth Dawn Capitolo XI

XI
- Un barile di camomilla -
< Sono incinta! >
Scoppiai in una fragorosa ed agghiacciante risata isterica, reprimendo il tremore della mani serrandole tra loro.
Ellie alzò un sopracciglio, fissandomi con occhi preoccupati. Non stavo reagendo esattamente come si aspettava, ma era più forte di me.
Le risa mi scuotevano il corpo e mi attraversavano la spina dorsale in ondate di malessere.
Non ridevo dalla gioia. Tutto il contrario.
< Sono incinta! > ripetei, reclinando la testa all’indietro. < SONO INCINTA! CAZZO, ELLIE, SONO INCINTA! > esclamai isterica, tornando di colpo seria e poi esplodendo in un pianto incontrollato.
Fantastico. Se erano mesi di ormoni impazziti e crisi ingovernabili corredate da lacrime quelli che mi aspettavano non vedevo l'ora di affrontarli....da SOLA.
< Incinta, incinta… > ripetevo come una cantilena, stringendomi le braccia al petto dolorante.
Quella notizia aveva riaperto il buco nel mio petto -più grosso che mai in quel momento- ed i lembi della ferita bruciavano intensamente mentre si screpolavano.
Qualcuno, dentro di me, aveva preso una pala e aveva scavato in profondità, creando un baratro infinito in cui mi aveva gettato senza pietà, ridendo sguaiatamente dalla cima, incurante delle mie richieste d'aiuto e delle mie unghie spaccate nel tentativo di risalire.
Ellie si avvicinò cauta e mi strinse forte contro il petto, cullandomi con dolcezza, come fossi una bambina che aveva fatto un brutto sogno.
Ed avrei voluto davvero che lo fosse.
Uno di quelli angoscianti che facevo ogni notte e da cui mi risvegliavo, madida di sudore, urlando.
Mi pizzicai ma non servì.
Ero sveglia ed allo stesso tempo prigioniera dell'incubo peggiore che avessi mai fatto, così reale da farmi desiderare di morire.

Di tanto in tanto cadevo ancora in pezzi.
Mi trascinavo con fatica durante le giornate, arrancando, strisciando, graffiando a terra e sanguinando dalle dita.
Cercavo di non perdere nulla ma, inevitabilmente, qualche frammento di me si staccava e rimbalzava lontano ed io ero così stanca che, dopo un po', avevo smesso di tornare indietro a raccoglierlo.
Ciò che quindi restava di me era uno scheletro bucato come una groviera, che si reggeva appena in piedi.
Uno scossone più forte degli altri, una caduta rovinosa e mi sarei sbriciolata.
La mia fragile impalcatura non era più costituita da ossa ma da ricordi cristallizzati e immutabili nel tempo, proprio come la bellezza di Edward.
Giunse, infine, quel terremoto devastante sotto forma di un'inattesa gravidanza.
Mi sconquassò la terra sotto i piedi e mi fece precipitare di nuovo in fondo a quel pozzo da cui Ellie mi aveva tratto in salvo innumerevoli volte senza nemmeno saperlo.
Avevo cercato di dimenticare, di cancellare, di passare una seconda mano di vernice su quel muro imbrattato, ma l'alone rimaneva e forse era peggio della macchia in sè per sè: quella puoi sempre sperare di toglierla, mentre l'altro è il segno della tua palese sconfitta.
Dovevo arrendermi all'evidenza, dunque.
Non potevo continuare a condurre quell'esistenza che puzzava di finzione.
LUI c'era stato e aveva fatto fagotto di ogni mia cellula viva, portandosela appresso dovunque fosse.
Carne, muscoli, sangue, tutto suo.
A Edward non apparteneva quasi più nulla. In un passato non troppo remoto, forse, qualcosa di me aveva avuto, ma non avrei potuto affermarlo con convinzione.
Non ero più sicura di niente e anche quelle poche certezze che avevo erano state bruciate di colpo.
Arse vive.
Carbonizzate, facendo sì che si lasciassero dietro nient'altro che l'acre odore di fumo.
Al contrario di quanto pensassi, qualcosa di sé, LUI me l'aveva donata -seppur inconsciamente-: un qualcosa che, in quel preciso momento, lievitava in me come fosse l'impasto della pizza.
Incinta.
Ero incinta.
Non riuscivo a pensare a quella creatura che mi portavo dentro come ad un bambino.
Se l'avessi fatto l'avrei amato e amandolo l'avrei tenuto, accettando di avere accanto a me per la vita un Jake in miniatura.
Non ero abbastanza forte ed ero ancora velenosa.
Potevo fargli del male, come ne avevo fatto a suo padre. Un padre che non avrebbe mai conosciuto.
Inspirai.
Espirai, intuendo che, più compivo quel gesto, meno fiato residuo avrei avuto poi da consumare poi nell'arco della giornata.
Tornai improvvisamente coi piedi per terra, tra le braccia rassicuranti della mia amica che ancora mi stringevano.
< E ora? > chiese Ellie, baciandomi i capelli.
< E ora lo diciamo a mia madre, suppongo. > borbottai, sperando che non iniziasse a sputare fuoco nell'apprendere la notizia.
< Oh. Vado a preparare un camomilla allora. >
S'alzò da terra e si diresse alla porta ma poi, con una mano sulla maniglia, aggiunse: < Ahia! C'era anche la mia prima quando siamo entrate, vero? > chiese e, senza attendere la risposta, mugugnò un irritato < Allora ne preparo un barile intero. >

O la camomilla di Ellie faceva miracoli oppure l'aveva corretta con un tranquillante per sedare elefanti.
Propendevo per la seconda opzione, osservando lo sguardo vacuo di Renèe e quello incolore di Lilian.
< Non avresti dovuto drogarle. > lanciai un rimprovero sussurrato alla mia amica, che mi guardò smarrita.
< Non ho fatto niente, io. Proprio niente, anche se sembra il contrario! >
Riportammo entrambe lo sguardo sulle nostre madri, immobili come statue di cera sul divano con la tazzina fumante in mano e gli occhi vitrei.
< Ehm... > mi schiarii la gola dopo un paio di minuti, senza sortire effetto.
< Mamma? > Ellie passò una mano davanti al viso di Lilian e poi alzò le spalle.
< Niente. Riprova, Belle, magari non hanno recepito >
Annuii, anche se sapevo bene che le due donne erano in stato di shock proprio a causa del fatto che avevano capito persino le virgole di quello che avevo detto loro.
< Mamma, sono... > Inspirai < ...incinta... > Espirai e notai il tremore delle dita di Renèe attorno alla tazzina.
Sbattè le palpebre e si morse il labbro inferiore, rovinandosi il rossetto.
< Incinta. > annuì.
< Incinta. > le fece eco Lilian, bevendo un sorso della camomilla bollente scottandosi, probabilmente, la lingua.
< SI, INCINTA! SI PUO' SAPERE CHE VI PRENDE A TUTTE E DUE? LA SMETTETE DI FARE... > Ellie allargò le braccia esasperata, a circondare entrambe < ...COSI?! NON HA MICA DETTO CHE E' MALATA TERMINALE, DIO SANTO! > sbuffò, alzandosi in piedi e tirando fuori il pacchetto di sigarette dalla borsa.
Sua madre la guardò torva ma non si azzardò a fare un solo commento, sapendo che sarebbe stata, altrimenti, usata come posacenere.
< Bella...è di Edward? >
Temevo quella domanda.
Avevo paura facesse avvenire l'ennesimo scoppio atomico in me.
Mi rifiutai, quindi, di sollevare gli occhi per incrociare quelli indagatori di Renèe e darle inconsciamente la risposta che voleva.
Quasi mi tradii scoppiando in un'amara risata. Come avrebbe potuto essere Edward il padre? I vampiri erano tecnicamente morti, non potevano concepire!
Ma quella parte della storia non sarebbe mai venuta a galla, quindi il suo dubbio era più che motivato.
< Edward? Era il tuo ragazzo di Frogs, Belle? > Ellie si intromise nella conversazione, rilasciando il fumo della sigaretta dalle narici, curiosa.
Mia madre alzò un sopracciglio interrogativa, facendomi capire che era tornata connessa con la realtà.
< Non le hai raccontato nulla, Bella? > mi chiese, palesemente sbalordita.
Evidentemente il fatto che Ellie frequentasse casa nostra regolarmente e fosse una seconda figlia per lei l'aveva indotta a credere che io mi fossi aperta.
Serrai le mani sulle ginocchia, stringendo i denti.
< Non molto... > sussurrò la mia amica, spegnendo la sigaretta di cui aveva inalato un solo tiro.
Tornò a sedersi accanto a me e mi prese una mano tra le sue, sperando di infondermi coraggio.
Certo, dare a bere a tutte e tre che portassi in grembo il figlio della persona che avevo quasi sposato sarebbe stata la via più semplice e soltanto un mese fa non c'avrei pensato due volte.
Avrei mentito spudoratamente, rifiutandomi d'ammettere le mie colpe, in un insensato ed immotivato istinto di protezione di me stessa.
Ora, però, non c'ero più in ballo soltanto io.
Quella creatura che mi cresceva dentro era reale, non era più solo una remota possibilità e, sebbene avessi inizialmente creduto di non essere in grado di darla alla luce, a mente più riposata c'avevo ripensato.
Era l'unica cosa che avevo di LUI, poteva essere il mio nuovo inizio.
Il mio riscatto per il dolore arrecato a suo padre.
Il modo di guarire dal mio stesso veleno, sperando di non infonderlo al bambino tramite la placenta.
Quel minuscolo esserino, frutto di un amore nascosto, mai svelato e sempre rifiutato, meritava la sua opportunità e soprattutto si meritava qualcosa di meglio di ciò che ero in quel momento.
Si meritava una Bella diversa, un po' più forte.
Se io fossi morta tra atroci sofferenze, impostemi dai ricordi, non m'importava.
Mio figlio veniva prima di tutto, realizzai quasi stordita, accarezzandomi il ventre piatto.
< No. > mormorai quindi, chinando la testa colpevole.
Senza bisogno di vederla conoscevo bene l'espressione che mia madre doveva avere in viso in quel momento: una maschera di delusione ed incredulità.
Ero proprio una pessima figlia. Se mi avesse disconosciuta all'istante non me ne sarei stupita.
E dire che mi aveva messo in guardia centinaia di volte sul sesso protetto -sin dall'età di dieci anni-, visti i suoi precedenti, ma a dir la verità quella sera avevamo tutt'altro per la testa io e...
< E di chi è? > gracchiò lei con voce acuta. Ellie serrò la presa sulla mia mano fino quasi a stritolarmela.
Ricambiai, aggrappandomi ancora a lei, l'unica che non mi stava giudicando, che non voleva altro che il mio bene, nonostante stesse difendendo una quasi completa estranea.
Sentii le lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi come non accadeva da un po' ormai.
Stavo ricominciando a funzionare a dovere?
Stavo riparando il mio guasto?
Se io fossi riuscita ad incastrarmi di nuovo come si doveva con gli altri ingranaggi anche il resto della lavatrice avrebbe potuto essere aggiustato?
Non osavo nemmeno sperarlo.
< Di... > presi fiato. Una boccata generosa, che mi sembrò comunque insufficiente.
Tutto l'ossigeno sulla terra non sarebbe bastato ad aiutarmi ad ammettere il mio peccato.
Sperai di ingoiare, insieme all'aria, anche un po' di antidoto contro la vigliaccheria.
< ...Jacob. >
E quel nome era la chiave della complicata serratura che teneva in cassaforte ogni ricordo ed emozione a lui legata.
Nel pronunciarlo sentii con chiarezza dentro di me lo scatto che sanciva l'apertura delle pesanti ante ed in un attimo fui schiacciata dal dolore, che aveva sembianze di un bulldozer.
Ansimai e gemetti, raccogliendo le ginocchia al petto, chiudendomi a riccio.
Il mio fragile scheletro cristallizzato si spaccò a metà di netto con uno schianto fragoroso.
Uno ad uno i pezzi di vita che lo componevano caddero a terra, infrangendosi come lastre di specchio sottile.
Battiti di ciglia.
Labbra tirate in sorrisi.
Mani fredde, corpo caldo.
Sangue, ferite.
Tagli, cicatrici.
Abbracci dolci.
Lacrime salate dal retrogusto amaro.
Schegge di ghiaccio nelle mani.
Odore pungente sulla pelle strappata.
Ossa rotta.
Rombi di motori.
Ringhi trattenuti, ciuffi di morbido pelo.
Ed ancora lacerazioni invisibili, incendi divampanti, respiro asmatico.
Ecstasy.
Turbine, acquazzone.
Neve, sole.
Sole intenso, abbagliante.
Sole spento, morente.
< Belle, è tutto ok, dai. > le braccia confortanti di Ellie scivolarono sulle mie spalle a circondarmi, a rimettermi insieme di nuovo.
Una mano gentile mi accarezzò i capelli e una fragranza melassata mi solleticò l'olfatto. Chanel.
< Va tutto bene, piccola. Non...fa niente. > disse a mezza bocca mia madre < Sistemeremo le cose in qualche modo, vedrai. >.
Ed anche se doveva costarle una fatica immensa pronunciare quelle parole, mi sentii un po' meglio.
Forse per una volta avevo fatto la scelta giusta mettendo al corrente Renèe di quello che mi stava succedendo.
Forse stavo cominciando ad agire in modo meno egoistico ed un po' più maturo e responsabile.
Possibile che per farlo, però, avessi dovuto distruggere sia Edward che Jake?
Mi morsi ferocemente le labbra nel ripensarci.
Potevo sentire ancora il suo ululato ferito, il cui eco non si era mai spento nelle mie orecchie.
Non sarebbe bastata una vita intera per espiare le mie colpe, ma se mai cominciavo mai avrei smesso.
E, chissà per quale ragione, sperai che dare alla luce quel figlio fosse un buon inizio.

1 commenti:

Unknown ha detto...

“Non potevo continuare a condurre quell'esistenza che puzzava di finzione.”

Da qua parte tutta un nuovo percorso. Questo capitolo segna la nascita di una nuova Bella. Una Bella che ancora commette, errori, che ancora non è cresciuta ma che almeno a smesso di fingere. Fingere di stare bene, fingere che lui non esista.

Perché Jake, c’era , c’è stato e con quella vita che cresce in lei ci sarà sempre.

Jake non è mai stato un amico, e ora può smettersi di raccontarsi quella bugia pietosa. Jake ha preso tutto quello che di lei poteva prendere, ma a differenza di Bella non l’ha fatto per egoismo, ma per amore.

La voragine che Jake ha scavato in lei è una voragine d’amore. Non è il dolore di Edward , un abbandono lo superi , ma un amore non vissuto come puoi superarlo?

Quella pancia che cresce ,per lei segnerà tutto quello che fra loro poteva essere e non è stato. Facile come respirare. Semplice. Solo Jake e Bells. E invece è sola e fa paura.

Ma quel bambino la sta già cambiando profondamente, e forse potrebbe essere la cosa migliore per lei. ha smesso di nascondersi , e nel dire la verità, tutta la verità alla madre ho visto i segni di quella Bella che può esserci. Della donna che potrebbe divenire.

E come sta crescendo Bella , pagina dopo pagina vedo crescere anche te. Il tuo stile diventa sempre più riconoscibile, a mano a mano smussi gli angoli e le imperfezioni spariscono.

Complimenti davvero tesoro.

E grazie per rendermi così partecipe di questa storia è un onore ed un piacere.

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