"Una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine,
che tutto è destinato a finire ma che tu puoi sempre scrivere un seguito;
che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
Una ragazza che legge comprende che le persone, come i caratteri, si evolvono.
Eccetto che nella serie di Twilight.
Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta:lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre."
Rosemarie Urquico.

lunedì 16 luglio 2012

Rebirth Dawn Capitolo XVIII

XVIII
- Un tizio TROPPO familiare -

Sebbene Marzo volgesse al termine ed Aprile fosse solo alle porte, quella mattinata era afosa come se di colpo fossero stati strappati fogli interi dal calendario e ci trovassimo già in pieno Agosto.
Mi asciugai il sudore dalla fronte e sorseggiai di nuovo il mio tè  -rigorosamente alla pesca- ghiacciato, nella speranza di non squagliarmi.
Il noce bianco di Phil, sotto cui mi ero sdraiata a leggere Cime Tempestose, mi forniva un po' di frescura e riparo dalla violenza dei raggi ultravioletti che, altrimenti, mi avrebbero arrostita come un pollo sullo spiedo.
Ellie era andata a seguire un paio di lezioni al College; con tutto il tempo che trascorrevamo insieme rischiava di non dare nemmeno un esame quell'anno e lei proprio non la voleva l'ennesima ramanzina di Lilian.
Aveva provato ad invogliarmi ad accompagnarla, ma avevo gentilmente declinato tutte le sue richieste/inviti insistenti. Sapeva quanto avessi sempre voluto continuare gli studi e le dispiaceva vedermi buttare via quell’occasione, tuttavia aveva appoggiato la mia decisione di concedermi un anno sabbatico.
In fondo, con la maternità e tutti i problemi e i casini che avevo creato, mi sarebbe stato difficile concentrarmi su qualcosa di diverso da me stessa e dai miei bambini.
Sorrisi, poggiando una mano sul grembo, sentendoli agitarsi.
Scalciavano spesso:  molte volte quando sentivano la risata argentina di Ellie, altre quando leggevo ad alta voce per loro brani dei miei libri preferiti –il più quotato era Romeo e Giulietta, nemmeno a dirlo-, altre ancora quando udivano la musica pop che la mamma ascoltava mentre faceva le pulizie -al che lei si avvicinava con lo straccio bagnato in mano e sussurrava loro < Bravi piccoli, avete orecchio. >-.
Sospirai e mi immersi di nuovo nella lettura, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro.
Dovevo decisamente spuntarli prima o poi. Stavano diventando ingestibili e, ormai, le punte erano così bruciate che mi sembrava di avere fili di fieno in testa.
Inoltre si erano anche schiariti in modo naturale sotto i raggi cocenti del sole: avevo delle ciocche intere biondo cenere che, tuttavia, non mi donavano affatto.
Mi davano l'aria della ragazza in dolce attesa rilassata e con una vita perfetta: descrizione che decisamente non mi si addiceva.
Ripresi la lettura, scolandomi le ultime gocce di tè con avidità.
"Io lo amo più di me stessa, Ellen; e lo so da questo: tutte le sere io prego di potergli sopravvivere, perché preferirei essere infelice io, piuttosto che saperlo infelice. È la prova che l'amo più di me stessa."
Sospirai.
In quelle parole sembravano essere racchiusi tutti i miei cupi pensieri degli ultimi tempi. La domanda era sempre la stessa: trovare o non trovare il modo di far sapere a Jacob dei gemelli? Dei NOSTRI gemelli?
Di quelle creaturine che avevamo concepito insieme senza nemmeno volerlo.
Frutti di un amore proibito e sempre tenuto nascosto.
Avrebbero visto la luce loro, come io e lui non avevamo mai fatto.
Dovevo rovinare la sua ipotetica felicità altrove per anteporvi la mia o viceversa?
E se la sua felicità fosse ancora dipesa da me? Sarei stata in grado, per una sola volta, di non ferirlo?
Con le mie maldestre mani avrei saputo coltivare quel sentimento dolce e al contempo effimero che ci aveva unito per tanto tempo senza che io lo vedessi?
E se gli avessi fatto fare la fine di quello con Edward?
I miei precedenti erano inquietanti. Ero capace di amare sì, ma probabilmente non nel modo giusto.
E Jacob, invece, meritava di essere amato diversamente da come avevo fatto io fino ad allora.
Non a suon di coltellate ma a suon di certezze e baci.
Un rombo di motore mi distrasse dalle mie riflessioni inconcludenti.
Riuscivo sempre a pormi decine di domande a cui non fornivo mai una risposta.
Alzai gli occhi dalle pagine del libro, curiosa, e cercai la moto che aveva prodotto tutto quel fracasso.
I pomeriggi nel garage del mio meccanico di fiducia mi avevano insegnato qualcosa: quel motore ruggiva e tossiva allo stesso tempo, come se fosse sottoposto ad uno sforzo eccessivo.
Sicuramente il proprietario l'aveva modificato, ottenendo, però, un risultato piuttosto scarso.
Rintracciai con facilità la sagoma di una moto nera con adesivi sgargianti che si avvicinava dal fondo della strada, lasciandosi alle spalle una scia di denso fumo nero.
Mi portai una mano davanti la bocca, sperando di non respirarmi tutta quella porcheria molto poco salutare per i miei bambini, e seguii con lo sguardo la traiettoria del motociclista, che sorpassò la villa di mia madre sgasando.
Poi impennò di colpo una ventina di metri più avanti con un fastidioso stridore di freni.
Persi interesse, catalogandolo come il solito esibizionista sfrontato e spericolato, e tornai alle mie amate pagine consunte.
Stavo voltando pagina quando un richiamo mi distrasse ancora.
< Ehi! Sis! >
Qualcuno mi stava venendo incontro dalla fine del vialetto sventolando una mano in aria.
< Sis, ma che cazzo hai combinato ai capelli? Perchè te li sei scuriti? Non ti donano per niente! >
Le grida di quello che doveva essere un ragazzo, a giudicare dalla corporatura, mi incuriosirono.
Mi fissava insistente, aldilà della staccionata del giardino, con le mani nelle tasche e la testa protesa nella mia direzione.
Mi voltai verso di lui, riparandomi gli occhi dal sole e, attonita, lo vidi saltare la recinzione senza alcuna difficoltà per raggiungermi.
< Sis, ma quanti chili hai preso? Hai ingoiato un melone intero? > mi apostrofò ancora con un sorriso allegro e affascinante, contornato da un'ombra di barba chiara risalente, probabilmente, al giorno prima.
Portava anfibi neri consumati, jeans trasandati, una t-shirt blu scura, che metteva in risalto dei pettorali niente male, e dei Rayban con le lenti graffiate che gli coprivano gli occhi.
Quando fu a due passi di distanza si bloccò e spalancò la bocca, interdetto.
< Cazzo, Sis, chi è quel bastardo che ti ha messo... > non concluse la frase. Le sue labbra si tesero in una linea dritta e serrata.
Si grattò la nuca imbarazzato e girò sui tacchi senza aggiungere altro.
Risentita, e anche un po' intrigata, lo richiamai.
< Ehi, tu! Si può sapere chi sei? >
Se ci fosse stata Ellie mi avrebbe assestato uno dei suoi “schiaffetti educativi” -come li definiva lei- tra capo e collo. Ne rimediavo almeno un paio al giorno, ogni volta che commettevo una qualche sciocchezza...tipo quella che stavo facendo in quel momento, attaccando bottone con un perfetto estraneo che -per quanto ne sapevo- poteva benissimo essere un serial killer di donne incinte.
Il ragazzo si fermò e incurvò le spalle, come un bambino sorpreso a fuggire quatto quatto dopo aver commesso una bravata.
Si girò e mostrò una smorfia impacciata e colpevole.
Si tolse gli occhiali e tornò sui suoi passi, inginocchiandosi fino ad arrivare alla mia altezza.
< Mi dispiace averti detto quelle cose poco gradevoli. Ti avevo scambiata per un'altra. > ammise e il verde pallido dei suoi occhi s'incupì, come se volesse mostrare anch'esso del dispiacere.
< Chi stai cercando? Magari la conosco... > mi offrii di aiutarlo, con un sorriso.
Sorridere non era più un problema.
Con Ellie lo facevo spesso, ormai, e mi faceva sentire più serena, meno oppressa e schiacciata dal senso di colpa che il mio...i miei bambini suscitavano in me.
Non che non li amassi...solo che magari avrei voluto che anche il loro padre li amasse.
Seth, però, continuava a mandarmi messaggi vuoti in tal senso. Pieni di parole, sì, ma riguardanti solo schermaglie tra i membri del branco -quasi sempre con Paul come protagonista- oppure banalità quotidiane.
L'ultimo messaggio riportava qualcosa come “Mia madre e tuo padre si vedono praticamente ogni giorno. Ieri lei gli ha preparato una cheesecake fantastica e lui se l'è spazzolata tutta senza lasciarmi nemmeno le briciole”.
Niente accenni alla sorte di Jacob e tanto meno a quella di Edward.
Ero preoccupata che l'ultimo dei due facesse qualche sciocchezza, ma non potevo chiedere a Seth di riferirgli qualcosa da parte mia. Sarebbe stato meschino.
Dovevo solo aspettare un altro po', poi prendere il coraggio a due mani e costringere le mie gambe ad andare a parlare faccia a faccia col mio mancato marito.
Era il minimo che ptoessi fare.
< No, non fa niente. Dopo la rintraccio al telefono. Scusa ancora per prima, mia madre me lo dice sempre che ho la delicatezza di un gorilla peloso. > si aprì in un sorriso splendente, che donò alle sue iridi verdi una nuova lucentezza.
< Figurati. Comunque...beh, io sono Bella. > gli tesi una mano cordiale.
Mentalmente mi diedi uno schiaffetto educativo da sola.
< Bella... > ripetè in un sussurro < Sai, ho studiato un po' di italiano tempo fa e il tuo nome è l'equivalente del nostro “carina”. Direi che è appropriato. > asserì una punta di malizia nel tono vivace.
Arrossii.
Con le caviglie gonfie a causa della gravidanza, gli abiti premaman e i capelli incollati sulla fronte non credevo affatto di essere una visione piacevole, ma il fatto che un ragazzo mi facesse dei complimenti -veri o di semplice cortesia non importava- bastò per farmi avvampare.
Ennesimo schiaffetto educativo. Ero proprio senza speranze.
< Bella sarebbe il diminutivo del mio nome. Mi chiamo Isabella, in realtà, ma lo odio. Perciò basta Bella. > gli spiegai, facendo spallucce.
Il ragazzo si sedette accanto a me a gambe incrociate e sorrise di nuovo. Sorrideva spesso e il suo sorriso era davvero stupendo. Uno di quelli contagiosi, uno di quelli...pericolosi.
Un sorriso come quello lo conoscevo bene. Tormentava i miei sogni ogni notte.
< Come ti capisco! Io mi chiamo...ho un primo nome orrendo che nemmeno voglio dirti, perciò uso il secondo: Cameron. Cam. >
Gli strinsi la mano.
< Allora, Bella, cosa ci fai qui tutta sola intenta a leggere un mattone del genere? Non dovresti essere in giro a comprare biberon e passeggini col futuro papà? >
Strinsi i denti e chiusi di scatto Cime Tempestose, reprimendo l'istinto di tapparmi le orecchie e fischiettare, come facevo da piccola per non ascoltare i rimproveri di mia madre.
Me l'ero cercata, in fondo. Se non avessi dato confidenza a quel ragazzo avrei evitato una domande del genere.
Ma siccome ero rinomata per il modo del tutto naturale in cui mi cacciavo nei casini, sospirai e risposi in modo cortese.
Quel poveraccio, alla fin fine, non c'entrava nulla.
< Credo che si usi il termine “ragazza madre” per descrivere la mia situazione. > mi cavai le parole dalla gola, da dove non ne volevano proprio sapere di venire fuori.
Dire quella frase ad alta voce rendeva il tutto...concreto. Reale. Doloroso.
Cam assunse un'espressione mortificata.
< Cazzo, Bella, sto facendo una gaffe dopo l'altra con te! Forse è meglio che vada! > dichiarò dispiaciuto, facendo leva su un braccio per alzarsi.
I suoi anfibi, però, slittarono sul viscido tubo usato da Phil per curare il giardino e così, invece che in piedi, si ritrovò spiaccicato per terra senza nemmeno sapere come avesse fatto.
Scoppiai a ridere, coprendomi la bocca con la mano, mentre Cam si rialzava dolorante, massaggiandosi il fondoschiena.
< Te lo giuro. Di solito le donne mi cadono ai piedi... >
< E invece tu sei caduto ai miei! > scherzai, ridendo ancora, quasi fino alle lacrime.
Lui mi fissò dritto in viso e si unì a me.
Ridemmo per cinque minuti buoni, probabilmente, poi Cam tornò di colpo serio.
< Mi dispiace davvero per...uhm... > indicò la mia pancia, incapace di trovare termini adatti.
Alzai le spalle con fare incurante.
< Diciamo che ormai ci ho fatto il callo... >
< Certo che quello che t'ha messo incinta deve essere proprio un bastardo per aver abbandonato una ragazza come te con un bambino... > la sua espressione divenne feroce.
Sembrava il classico tipo insofferente alle ingiustizie. Per certi versi mi ricordava molto Ellie.
< Veramente di recente ho scoperto anche che sono due. >
Cam gonfiò le guance trasformando la sua faccia in un qualcosa che ricordava vagamente una maschera Kabuki attonita.
< Cazzo, c'avete dato dentro! > esclamò colpito, ma subito dopo si schiarì la voce con un colpo di tosse < Cioè...ehm...voglio dire che... >
Scoppiai di nuovo a ridere.
Quel ragazzo, che continuava a collezionare una gaffe dopo l'altra, era davvero simpatico. O forse ero semplicemente rimasta colpita dal suo carattere schietto, diretto e brioso, come le bollicine dell'acqua gassata.
Mi ricordava immensamente il mio migliore amico ai nostri tempi d'oro, quando io ancora non gli avevo devastato la vita.
< Senti, Bella, è la prima volta che mi succede di sembrare così deficiente davanti ad una ragazza. Devi darmi modo di rimediare e dimostrarti che scemo lo sono, sì, ma solo quando voglio farlo. Per il resto sono un... >
< ...vero dongiovanni? > conclusi io per lui, sorridendogli.
Aveva un chè di tenero e, per certi versi, assomigliava a Seth.
< No! Uno...tosto! Che sa il fatto suo! > si sporse verso di me con una scintilla speranzosa nelle iridi di giada.
< Cam, per quanto possa essere lusingata da queste tue parole io non credo che sia il caso... Sai com'è...sono incinta. > gli spiegai con dolcezza.
Lui rimase in silenzio qualche attimo e poi si passò una mano tra i capelli color miele, spettinandoli.
< Oddio, non vorrei avessi frainteso... Io non sto cercando di...sedurti...credo che di problemi tu ne abbia a sufficienza anche senza di me. > sentenziò con calma < Però hai un viso simpatico che contrasta con la tua espressione sconsolata. Mi fa rabbia vederti così. Vorrei esserti amico... > si offrì, porgendomi la mano.
La fissai interdetta, ricollegando il suo discorso a quello che mi fece Ellie poco dopo esserci conosciute.
< E' solo che...che volevo aiutarti. Sembri così triste ed io non sopporto lo sconforto nello sguardo della gente. Mi sento sempre in dovere di fare qualcosa. >
Probabilmente se la mia amica fosse stata presente, dopo i vari schiaffetti educativi, mi avrebbe fatto accettare l'offerta di quello pseudo sconosciuto propinandomi un rimprovero tipo < Morto un papa se ne fa un altro, Bella. Questo qui non è nemmeno niente male, cogli la palla al balzo! Divertirsi non ha mai fatto male a nessuno! Certo...magari la prossima volta, invece di attaccare bottone con un estraneo, abbi la decenza di conoscerlo un po' meglio, ma non posso mica pretendere troppo da te, no? >
Oddio, stavo iniziando a sentire la voce di Ellie nella testa come quella del grillo parlante. Ero da ricovero urgente.
< Ehi, Bella, ci stai? Io...sono nuovo di qui. Non conosco nessuno. Ti andrebbe di prenderci un gelato uno di questi giorni? > propose Cam, animato da una scintilla di speranza mista ad eccitazione.
- Isabella Marie Swan, non fare la solita cretina adesso. Mostra quel poco di maturità che hai acquisito da sei mesi a questa parte, sù. Caccialo via e torna a leggere Cime Tempestose come se non ti fossi mai interrotta. -
Aprii bocca per rispondergli un cortese < No, grazie. > ma la richiusi con un sono schiocco.
Cam mi scrutava ansioso, con degli occhi imploranti da cucciolo abbandonato a cui non avevo mai imparato a resistere.
Erano il mio tallone d'achille. Ellie, ad esempio, lo sapeva fin troppo bene.
Mi maledissi prima ancora di dar fiato alla mia palese resa.
< Va bene > gli strinsi la mano cordiale.
- Sono proprio un caso disperato. - sentenziai lugubre.

< Fammi capire... >
Ellie agitò in aria la piastra incandescente, facendola sgusciare a cinque millimetri del mio orecchio destro, mancandomi per un soffio. Poi agguantò una ciocca di capelli e me la lisciò con troppa irruenza, rischiando di farsela rimanere in mano.
< Ahia! > protestai, guardandola torva dallo specchio.
Lei mi ignorò allegramente e riprese il suo discorso come se non l'avessi interrotta.
< ...uno sconosciuto a cavallo di una moto ti ha abbordato con la scusa più vecchia del mondo e tu hai accettato di uscirci? > riepilogò sommariamente l'episodio della mattina precedente, che le avevo riportato per filo e per segno, eliminando dettagli importanti, come il fatto che non mi aveva ABBORDATO ma semplicemente scambiato per un'altra persona e, nel caso in cui avessimo deciso di vederci, avremmo preso un gelato insieme come due amici qualsiasi.
Aprii bocca per specificare tutto quello che lei aveva volutamente trascurato, ma la mia amica mi zittì passandomi la piastra davanti al naso.
< Inutile che tu dica che non è così. Quello cercava di rimorchiarti e c'è pure riuscito alla grande. Sei la solita fessa che si fa abbindolare...anche se in effetti ti potrebbe far bene una distrazione! > commentò sovrappensiero, scuotendo la testa.
Le morbide onde dei suoi capelli chiari le dondolarono attorno al viso, facendola sembrare una ragazzina.
La fissai ammirata, odiando quegli spaghetti che avevo in testa che rimanevano arricciati una mezz'ora cronometrata -Ellie aveva provato a farmi i boccoli decine di volte con scarsi risultati-.
< Non è una distrazione! Non ne ho bisogno! E' stato carino e gentile nei miei confronti e mi sembra il minimo ricambiare la cortesia accompagnandolo un po' per la città, aiutandolo ad ambientarsi. >
< Certo. Sì, hai ragione. Decisamente un'ottima idea. > Quando lei concordava con me in quella maniera conciliante significava che pensava l'esatto opposto di quello che aveva detto.
Cosa c'era di così sbagliato nello stringere amicizia con un ragazzo appena trasferitosi in città?
Insomma, ero incinta, cosa poteva capitarmi di più?
E poi Cam aveva un'aria così mite che era impossibile pensare che fosse capace di nuocere a qualcuno.
D'un tratto, mentre Ellie rovistava nel suo beauty case alla ricerca dello smalto da mettermi sulle unghie dei piedi -quel riturale di "bellezza" veniva compiuto, ormai, una volta a settimana. Le piaceva "darmi una parvenza di decenza e non farmi sembrare una ragazza madre sciatta", così diceva lei-, il mio cellulare squillò.
Era uno di quei mostri tecnologici ultrapiatti touch screen con cui non facevo altro che litigare.
Avevo le dita troppo tozze, probabilmente, perchè non riuscivo mai a scrivere un sms decente. La mia amica doveva usare il traduttore per capire cosa avessi scritto.
Era il regalo di Natale di Renèe in sostituzione del mio vecchio telefonino, rimasto a Forks a casa di Charlie dove non ero passata a recuperarlo. Quello e molte altre cose, come un grazioso acchiappasogni...
Mi si contorcevano le viscere ogni volta che ci pensavo.
Riuscii a rispondere al terzo tentativo e dall'altro capo udii un fracasso bestiale.
< Pronto? >
< Is...Bella? Bella, sei tu? Sono Cam, ti ricordi di me? >
Ellie, incuriosita dal frastuono che si udiva anche a distanza, sollevò i suoi occhi da cerbiatta su di me.
Arrossii involontariamente. Il suo sguardo inquisitore mi faceva sentire come se stessi facendo una cosa sbagliata.
Ed in effetti non era molto prudente dare il proprio numero di cellulare ad un tipo appena incontrato.
Mi diedi uno schiaffetto educativo da sola sulla nuca ed Ellie approvò col capo.
< Certo che ricordo! Ciao, dove sei? Sento un tale casino! > mi tappai un orecchio, cercando di isolare la sua voce dagli schiamazzi confusi di sottofondo.
< In centro. C'è un concerto...mi chiedevo se ti andasse di raggiungermi. >
Ellie mi fulminò con un'occhiata assassina. Senza che parlasse le leggevo in faccia ciò che mi stava comunicando: < Troppo pericoloso nelle tue condizioni! >.
Sbuffai. Ero incinta non malata terminale, l'aveva detto persino lei!
Eppure non riuscivo a darle completamente torto.
Al concerto avrebbero assistito decine di fans scatenati che si sarebbero dimenati, avrebbero gridato, spintonato e urlato. Una gomitata ben assestata avrebbe potuto causarmi gravi problemi e ne facevo volentieri a meno. Mi bastavano quelli che avevo attualmente.
< Non potremmo vederci in un posto più tranquillo? > gli chiesi quindi, restia a rifiutare completamente l'invito.
Non mi avrebbe fatto male uscire e fare un po' di moto insieme a qualcuno che non fosse Ellie, la quale puntualmente mi trascinava in giro per i negozi della prima infanzia.
Più che la futura zia dei gemelli sembrava il padre mancato.
Quasi rimpiangevo lo shopping sfrenato di abiti e sandali firmati dei primi tempi.
Cam concordò con me e insieme decidemmo di optare per la gelateria alla fine della via di casa di mia madre.
Ci saremmo incontrati lì un paio d'ore dopo.
Quando chiusi la telefonata la mia amica mi stava fissando, battendo un piede nervoso per terra.
< Certo che tu se non ti ficchi in qualche casino non sei felice! Avevi bisogno di una complicazione del genere? Se proprio volevi qualcuno con cui dimenticare Jacob bastava me lo dicessi! Mio fratello Nathan è arrivato ieri da New York. Starà qui per qualche tempo. Lui sì che è carino! Anzi, appena torna te lo presento! Oggi aveva dei giri da fare... > sciorinò quel fiume di parole senza darmi tempo di fiatare.
Agguantò il mio piede destro e si armò di pennellino e smalto blu, sbuffando.
< E va bene. Se proprio devi vederti con questo tizio, almeno fatti rendere presentabile, dai! >

Arrivai in gelateria con quasi un quarto d'ora di ritardo, dovuto alle duecento raccomandazioni che Ellie mi aveva fatto, nemmeno fosse mia madre ed io una ragazzina incosciente.
< Fammi uno squillo ogni mezz'ora per farmi sapere che stai bene. >
< Non tornare più tardi delle sette. >
< Non allontanarti troppo dalla gelateria; nelle tue condizioni non è proprio il caso. >
Quando alla fine ero riuscita ad raggiungere il portone, lei stava ancora borbottando e sbuffando come una vaporiera.
Ovviamente non appena avevo messo piede fuori casa mi erano arrivati due sms da parte sua con altrettanti consigli.
Dio santo, nemmeno Renèe stessa era così apprensiva!
In verità avevo pensato che il mio ritardo avesse fatto desistere Cam dall’incontrarci, ma dovetti ricredermi quando lo vidi corrermi incontro sorridendo estatico, agitando una mano.
Ricambiai il saluto e mi scostai i capelli dalla fronte madida, chiedendomi perchè non avessi dato retta ad Ellie e mi fossi cacciata in quella situazione.
Di che potevo parlare con uno sconosciuto?
Io ero brava a fare amicizie quanto lo erano licantropi e vampiri ad andare d'accordo, che cavolo mi era saltato in testa?
Però, mi dissi con nuova risolutezza, ero migliorata negli ultimi tempi, no?
Ero una Bella diversa!
Dovevo dare un’aggiustata anche a quel lato timido e introverso del mio carattere e Cam sembrava proprio la persona giusta con cui cominciare.
< Scusa il ritardo, sono stata trattenuta. > dissi quindi, sorridendo.
Lui sorrise a sua volta e mi prese sottobraccio, accodandosi alla fila che usciva fuori le porte del piccolo negozietto.
Facevano un gelato artigianale davvero squisito e, per questo, sebbene il posto fosse un po' fuori mano, era sempre preso d'assalto a qualsiasi ora del giorno.
< Figurati! Il quarto d'ora accademico è sempre concesso. > disse con un'alzata di spalle.
Fissai la sua mano abbronzata che stringeva il mio braccio senza farmi male e, avvertii un brivido.
L'esuberanza e la spontaneità di quel ragazzo mi mettevano un po’ a disagio, proprio come aveva fatto Ellie al nostro primo incontro.
Non ero abituata a chi si prendeva tutte quelle confidenze così alla svelta.
Charlie mi prendeva sempre in giro su questo: diceva che ero un motore Diesel, di quelli che non girano molto in fretta perchè la combustione richiede un certo tempo per avvenire, ma che, però, generano una forte coppia motrice già a bassissimi regimi. Un modo un po' particolare per dirmi che ero lenta come un bradipo a sciogliermi con qualcuno, ma, una volta fatto, andavo come un treno.
Mi schiarii la voce mentre avanzavamo e cercai un argomento di conversazione, ricordandomi la ferrea decisione di essere migliore.
< Uhm... allora, hai poi trovato la persona che cercavi? > gli domandai, cercando di allentare un po’ la sua presa.
Lui mi lasciò fare, forse intuendo di aver esagerato e sorrise di nuovo.
Cavoli, doveva essere un tic il suo. Conoscevo soltanto un'altra persona capace di sorridere così spesso...
Sospirai e mi toccai il polso involontariamente trovandolo, come al solito, nudo. Mi mancava quel braccialetto fino con un piccolo ciondolo intagliato nel legno a forma di lupo.
Anche quello era rimasto a Forks. Ogni cosa bella che avevo o che avevo avuto era lì. Avrei dovuto quindi farvi ritorno prima o poi...
Sperai che quel “poi” fosse il più lontano possibile, intervallato, magari, da un miracolo divino che sistemasse le cose al posto mio.
< Oh, si! Quella pazza di mia sorella mi ha fatto una lavata di capo inimmaginabile perchè non avevo avvisato che sarei passato qui a trovare lei e la mamma. Era da un po' che non ci vedevamo... > borbottò agitando le mani, come se fosse incapace di tenerle ferme.
Più lo guardavo più avevo la sensazione di conoscerlo.
Aveva un qualcosa di familiare che, tuttavia, non riuscivo ad inquadrare bene.
Qualcosa che da subito mi aveva messo a mio agio.
< Come mai? > chiesi, cercando, nel frattempo, di identificare quel tratto che lo rendeva “amico” ai miei occhi.
Era forse l'aria sbarazzina che avevo visto indosso anche a Seth?
Il mio telefono nella borsa vibrò.
Sicuramente era Ellie con il suo ennesimo messaggio di raccomandazioni. Ma quanti anni credeva avessi? Dieci?
Sapevo badare a me stessa per un paio d'ore...anche se il fatto che portassi in tasca quel magnete-attira-disgrazie un pochino mi preoccupava.
< Beh...vivo con mio padre a New York. Da quando lui e mia madre si sono separati i rapporti sono rimasti tesi. Ci credi? Non si sopportano perchè si amano. E' una cosa da pazzi! > Cam scosse la testa avvilito e di nuovo avanzò. Eravamo alle porte della gelateria ormai.
Quella storia mi suonava familiare. TROPPO familiare.
Un orrendo presentimento si fece largo in me. Deglutii vistosamente e mi feci coraggio.
< Cam, senti, posso chiederti qual è il tuo primo nome? > gli domandai, cercando di sembrare il più naturale possibile.
Lui mi guardò con quei suoi occhioni di giada e d'improvviso capii anche cos'era che lo rendeva tanto familiare. Era la fotocopia al maschile di Ellie.
< Uh, se ci tieni, certo. Basta che non lo usi. E' odioso. L'ha scelto mia madre. > sbuffò e poi sputò quel nome come fosse un insulto < Nathan. >
Mi sforzai di sorridere ma evidentemente non mi riuscì granchè bene.
Lui si accigliò e mi guardò curioso < Bella? Perchè sembra che tu abbia una paresi facciale? >
Porca miseria ma come avevo fatto a non accorgermi di quanto fosse uguale a sua sorella?!
Niente peli sulla lingua, capelli biondi, occhi verdi...e dire che Ellie mi parlava spesso di lui!
Poteva essere mio fratello per quanti dettagli sulla sua vita conoscevo!
Avevo proprio un cocco ammaccato al posto della testa, come la mia amica non mancava mai di farmi notare.
< Ho appena scoperto una cosa. > biascicai come se avessi una noce incastrata in gola.
Cam, o meglio Nathan, corrugò la fronte. Probabilmente dovevo sembrargli parecchio bizzarra.
< Cioè? > domandò curioso, mentre ordinava il cono gelato più grande che io avessi mai visto, sormontato da una montagna di panna.
< Tua sorella, Ellie, è la mia migliore amica. > sbottai.
Perchè poi mi costasse tanto rivelargli quella cosa non lo sapevo. Avevo l’impressione che non sarebbe stato felice di saperlo.
Cam si irrigì e mi offrì quel cono come se avesse un braccio meccanico.
< Oh, beh è fantastico! Ti ha mai parlato di me? > azzardò, sondando il terreno.
Assaggiai con la punta della lingua la crema e feci cenno di sì.
Dal suo comportamento era chiaro che si sentisse a disagio.
Cosa aveva combinato che non voleva che io sapessi?
< Mi ha accennato qualcosa, ma nulla di che... > risposi vaga, frugando nella borsa alla ricerca degli spiccioli con cui pagare.
Il cellulare segnava cinque sms non letti e due chiamate senza risposta.
Quando avrei detto ad Ellie che il motociclista che mi aveva abbordato era sua fratello le sarebbe venuto un infarto e, probabilmente, lei gli avrebbe fatto una seconda lavata di capo memorabile, che avrebbe ricordato per anni.
Valutai di tenere l’informazione per me, poi ci ripensai.
Non ero mai stata brava a mentire. Men che meno ad Ellie, che mi interpretava come fossi un libro aperto.
Mi allungai oltre il bancone per porgere i soldi ai ragazzi cordiali col berretto verde, in pendant con l'insegna della gelateria, che ci avevano servito, ma Nathan fu più svelto.
Con una mossa fluida pagò anche per me, spingendomi via con un colpo di reni appena accennato.
Probabilmente voleva scherzare, ma il suo giochetto non mi fece ridere affatto.
Barcollai di lato e persi il mio instabile equilibrio, che la gravidanza aveva incentivato.
Chiusi gli occhi e cercai un appiglio a cui sostenermi ma non ne trovai.
Caddi a terra con un tonfo sordo, tra gli sguardi terrorizzati degli altri clienti in fila, dei ragazzi dietro il bancone e di Cam stesso.
Mi ritrovai seduta sul pavimento di lucido linoleum con la testa ciondolante e la schiena premuta contro uno degli sgabelli che avevo rovesciato durante la caduta.
Qualcosa di caldo e viscoso mi bagnò le dita ed una fitta, simile ad un crampo improvviso, mi artigliò il basso ventre.
Nathan si precipitò al mio fianco, imprecando e scusandosi al contempo, mentre un capannello di persone si chiudeva intorno a me, offrendosi di aiutarmi.
Respirai a fatica, come se avessi corso per chilometri prima di finire a terra, e mi guardai intorno.
Il gelato era ad una decina di centimetri da me, completamente spiaccicato e già in procinto di sciogliersi, e i miei vestiti si stavano infradiciando con quella strana acqua calda e viscida.
Anche se avevo una noce di cocco bucata al posto della testa, non ci misi molto ad intuire cosa era successo.
Portai una mano al ventre con occhi sbarrati.
< Cam... > esordii con un misto di preoccupazione e incredulità nella voce < Credo...credo che mi si siano rotte le acque! >

1 commenti:

Unknown ha detto...

Questo capitolo è la somma perfetta di tutta la tua bravura e della bellezza della storia. Perché tu talento ne hai e ne hai da vendere e qua ci muoviamo sul filo sospeso che lega tutta la storia. Jake e Bells da un lato la rinascita dall’ altro. c’è la Bella di Romeo e Giulietta e c’è la Bella di cime tempestose. E questi due libri rappresentano tutto il suo cambiamento. C’è la Bela che cresce e sta per diventare madre e finalmente ha capito e poi c’è la solita Bella insicura che si perde in stupide paranoie che si comporta da bambina e non parla con Jake.

E poi di nuovo una nuova Bella che sorride ha amici, esce con un ragazzo. Equilibri nuovi in una vita vecchia.

Rinascita. Un capitolo che davvero rappresenta la storia. Un personaggio nuovo che da una nuova prospettiva, ancora altri equilibri da incastrare.

Sono così orgogliosa di te e di questa storia che tutto il resto non conto.

Non vedo l’ora di leggere il continuo orami ci siamo quasi.

Ti adoro.

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