"Una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine,
che tutto è destinato a finire ma che tu puoi sempre scrivere un seguito;
che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
Una ragazza che legge comprende che le persone, come i caratteri, si evolvono.
Eccetto che nella serie di Twilight.
Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta:lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre."
Rosemarie Urquico.

domenica 1 luglio 2012

Rebirth Dawn Capitolo XXVI




XXVI
- Faccia di bronzo -


Pioveva.
C’era la luna alta nel cielo. Pallida, splendente e solitaria senza stelle intorno.
Unica protagonista nel suo tetro palcoscenico privo di riflettori.
C’era profumo di latte in polvere e biscotti sbriciolati. Lo stesso odore che avevo sulle dita dopo aver dato da mangiare ai gemelli.
C’era un vento tiepido che mi accarezzava la pelle scoperta delle spalle, come il respiro di Jacob quando si avvicinava troppo.
E c’era una melodia dolce e malinconica, che mi sembrava familiare.
Tesi le orecchie, cercando di capire con precisione da dove provenisse e, infine, individuai alle mie spalle una costruzione bianca.
La pioggia mi scivolava sul corpo in piccole gocce limpide e fredde, così mi affrettai per arrivare all’asciutto.
Il patio era di legno ruvido ed i miei piedi scalzi slittavano sulle assi sconnesse.
Inciampai e caddi ginocchioni davanti la porta a vetri, dietro cui riuscii ad individuare una sagoma sbiadita, come se fosse stata soltanto abbozzata dalla mano del disegnatore.
Era seduta di fronte ad un pianoforte a coda color avorio e suonava con veemenza, pigiando con troppa forza i tasti. La musica, tuttavia, rimaneva sublime e straziante.
Alzai una mano per bussare, ma un ululato sofferente mi distrasse.
Mi guardai attorno e sotto la pioggia battente notai un lupo dal pelo bagnato correre via.
Impulsivamente decisi di seguirlo, abbandonando il riparo di quell’edificio bianco e anonimo.
Diroccato, quasi. Abbandonato.
Il pianista, per un attimo, smise di suonare mentre mi allontanavo, poi riprese a ritmo serrato:lo stesso dei miei passi veloci nel fango.
Scacciai i capelli dalla fronte e mi strofinai gli occhi per non perdere di vista il lupo, ma l’acqua era diventata densa e rimaneva incrostata sul mio viso.
Nell’aria non c’era più il profumo dolce del latte zuccherato e dei biscotti fragranti, bensì odore di metallo arrugginito.
Sollevai il viso verso la luna e gridai orripilata.
Pioveva.
Pioveva sangue.

Lo schiocco di una serratura mi svegliò.
Tremante, mi osservai le braccia e le trovai pulite. Niente sangue. Niente gocce d’acqua sporca. Niente lupi. Nessun eco nelle orecchie.
Ero al caldo, al sicuro e all’asciutto.
Ero nella stanza di Jake, sdraiata nello stesso letto in cui avevamo fatto l’amore mesi prima.
Rachel, venuta a stare da Billy per un po’, doveva aver cambiato le lenzuola. Profumavano di bucato fresco alla lavanda.
Mi alzai e controllai le culle di legno dei bambini, che sonnecchiavano sereni a pancia sotto con un pugnetto in bocca.
Accarezzai le loro testoline e gli rimboccai le coperte, stringendomi nelle spalle per liberarmi degli ultimi residui di quel sogno angosciante.
Mai come in quel momento desiderai un abbraccio rassicurante di Jacob o il suono dello scacciapensieri che mi aveva regalato.
Ma nella stanza non c’erano nè l’uno, nè l’altro.
Che io sapessi, Jake non aveva alcun turno di ronda ed era strano, per lui, uscire a fare passeggiate notturne allontanandosi da Ephram ed Elizabeth.
Ogni secondo che trascorreva lontano dai suoi figli lo considerava tempo perso, buttato in qualcosa di meno importante che avrebbe potuto aspettare.
Dalla veranda proveniva un chiacchiericcio sommesso, così decisi di uscire a dare un’occhiata.
Mi avvolsi in una vestaglia leggera e socchiusi appena la porta d’ingresso, che produsse lo stesso schiocco che avevo sentito poco prima.
< E’ arrivato? >
Jacob era di spalle e camminava nervoso su e giù per il patio, con una mano in tasca e l’altra reggere il cellulare vicino l’orecchio.
Tacque, ascoltando la risposta del suo interlocutore.
< Quanto gli ci vuole in macchina? Quando arriveranno loro? > poneva domande secche e brusche, come se non fosse entusiasta di quella chiacchierata.
Appoggiai la testa allo stipite del portone e lo osservai sbuffare e passarsi le dita tra i capelli già scompigliati.
< Sì. > un sospiro < Non è affar tuo questo. Grazie di quello che hai fatto, ma è stata un’eccezione. Non cambia niente tra noi, succhiasangue. > sputò con veleno, chiudendo la chiamata con un ringhio.
Alzò la testa e si accorse di me. Sembrò spiazzato.
< B-Bells...che stai...? > non concluse la domanda.
Rimase dov’era, senza avvicinarsi.
Cosa temeva che avessi sentito? Cosa tentava di nascondermi?
E perchè avrebbe dovuto farlo? Non era il mio migliore amico, lui? Quello che nel bene o nel male mi metteva al corrente di qualunque avvenimento?
L’aveva sempre fatto, al contrario di Edward e quel suo tacere mi feriva.
Perchè parlava con uno dei Cullen? Quale, per la precisione? E chi era arrivato? Dove?
Serrai i denti, cercando di smorzare il rimbombo acuto di quegli interrogativi nel mio cervello senza riuscirci.
< Chi era al telefono? > cercai di dare un tono spensierato alla mia domanda, ma lui dovette cogliere l’ansia nella mia voce.
Si strinse nelle spalle e non rispose.
Il suo silenzio bruciava come un ferro arroventato nelle carni.
Provai ad estrarlo, ma il dolore era troppo intenso ed io non ero mai stata brava a sopportare o abbastanza coraggiosa da porgli fine.
Chiusi gli occhi, annuendo leggermente.
< Non importa. Buonanotte. >
Feci un passo indietro, tornando in casa.
Era sempre così tra noi. Un po’ avanti e tanto, sempre troppo, al contrario.
Quel poco che riuscivamo a conquistare non bastava a tenerci insieme a sufficienza.
Ad ogni nuovo scontro perdevamo un ennesimo pezzo e non era rimasto quasi più nulla da recuperare.
< Bells! Bells, io... > provò a dire, ma gli chiusi la porta in faccia e mi rintanai in bagno.

Mi svegliò il sapore del sangue che raschiava il palato.

Se era uno strascico dell'incubo che avevo vissuto almeno dieci volte nel sonno oppure frutto del mio mordere insistentemente la lingua per non far scappare nemmeno un gemito durante il pianto, non avrei saputo dirlo.
Ero ancora appoggiata alla porta del bagno, rannicchiata su me stessa per tenermi insieme, di nuovo.
Tremavo per il contatto con le piastrelle gelide, ma meglio quelle del ghiaccio presente negli occhi di Jacob e nel suo muto escludermi dagli ultimi avvenimenti.
Però, in fondo, era ciò che mi meritavo.
La legge del taglione del MedioEvo prevedeva una giustizia personale: infliggere la stessa pena a chi ci aveva ferito ed era ciò che inconsapevolmente faceva Jake.
Taceva come avevo fatto io per dieci mesi con i miei messaggi salvati nelle bozze e mai inviati, con le mie lettere depositate sul fondo del cestino e le chiamate mute che non avevo mai effettuato.
< Bella? Scaldo un po' di latte anche per te? > la voce di Billy filtrò da sotto l'uscio e mi scosse.
Era mattina e, più che della mia di colazione, avrei dovuto pensare a quella dei gemelli.
- Idiota! Ancora una volta hai messo te stessa ed il tuo stupido senso di inadeguatezza davanti ai tuoi figli. -

< Sì, grazie. Arrivo subito! >
Mi alzai, reggendomi alla lavatrice alla mia sinistra, ed arrivai davanti lo specchio, dove dietro i segni delle lacrime riuscii a fatica a individuare me stessa.
Maltrattata, ferita, a pezzi...ma ancora lì, in attesa che una scintilla d’orgoglio mi facesse rinascere dalle mie ceneri come una fenice.
Tra tutti coloro che mi avevano fatto del male, la colpevole con la maggiore responsabilità ero proprio io, perchè l’avevo permesso.
Dovevo smetterla di essere debole, di accusare il colpo chinando il capo.
Aprii il rubinetto dell’acqua fredda e me ne riempii le mani, cercando di lavare via il dolore e farlo finire nello scarico insieme al sapone al profumo d’arancia.
Non soddisfatta delle gocce gelide sulle guance e la fronte, infilai la testa sotto il getto prepotente.
La notte non mi aveva portato consiglio e non aveva dato nessuna risposta alle domande che mi ponevo, anzi ne aveva sollevate di nuove...ma era tempo di muoversi, di dare una scossa alla mia esistenza statica da soprammobile.
L’acqua scivolò tra le ciocche dei miei capelli come lunghe dita ossute e ghiacciate e mi schiarì le idee, aiutandomi a mettere sotto la giusta luce le mie nuove priorità.
Strofinai con forza gli occhi, sperando di ridurre le occhiaie, e infine chiusi il rubinetto con uno scatto secco.
Mi asciugai distrattamente e mi appiccicai sulle labbra un sorriso poco convincente, che tuttavia avrebbe dovuto bastarmi tutto il giorno. Avevo dei conti in sospeso in attesa di essere saldati ed ero stanca di rimandare, di aspettare che qualcuno sistemasse per me le mie faccende.
Era arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e cominciare a vivere davvero quel poco che mi restava.
< Ci ho ripensato: niente colazione per me. Porto i gemelli da Charlie! > annunciai quindi, uscendo a testa alta dal bagno.

La macchina dello sceriffo di Forks era parcheggiata davanti al cancelletto d’ingresso e dallo specchietto retrovisore pendeva il ciondolo della mia collana preferita.

Quand’ero scappata a Jacksonville non c’era. Era un evidente tentativo di mio padre di tenere un pezzo di me sempre vicino.
Il giardino mostrava un prato alto venti centimetri buoni e aveva l’aspetto di una giungla.
Charlie Swan, cittadino modello, aveva infinite qualità, ma di certo non possedeva il pollice verde.
Quella portata per il giardinaggio era la mamma ed una volta andatasene lei da quella casa, nessuno si era più curato del cortile.
Ogni sei mesi circa mio padre ingaggiava qualche studente volenteroso in cerca di soldi per fargli dare una sistemata e non doversi aprire la strada con un machete, ma per il resto si teneva alla larga da qualsiasi questione riguardasse alberi, cespugli e fiori –ai quali era, tra l’altro, allergico-.
Spensi il motore della macchina noleggiata in aereoporto, che non avevamo ancora restituito, e andai ad aprire lo sportello posteriore.
Elizabeth indossava la tutina fucsia piena di fiocchetti che Ellie aveva comprato a Natale, avvolgendola in un pacchetto della stessa tonalità.
Ephram, invece, ne portava una blu notte con dei lupetti stilizzati disegnati sopra. Quando l’avevo vista, dentro quella scatola ammaccata sotto l’abete addobbato, ero scoppiata a piangere facendo sentire in colpa la mia amica.
Ero stata pessima anche allora, rovinando le festività a tutti quanti. Avevo singhiozzato per ore, senza che nessuno riuscisse a calmarmi o a capire il motivo di quelle lacrime amare.
Come avrebbero potuto?
E come avrebbe potuto farlo Charlie, senza recriminare con cipiglio severo il mio silenzio?
Era diventato nonno e non ne aveva la minima idea.
Pregai che non gli venisse un infarto come al povero Harry Clearwater.
Slacciai la cintura di sicurezza del seggiolino di mia figlia e la presi in braccio, cercando di pensare al modo in cui portare anche il maschietto in casa senza fare due viaggi.
< Bells! > mi voltai istintivamente al suono della sua voce allarmata e mi ritrovai stretta in un abbraccio soffocante.
La piccola Ellie gorgogliò felice.
Lui si staccò da me e mi tastò il viso, come a voler controllare che fossi illesa.
Feci un passo indietro, ancora scottata da quella telefonata notturna avvolta nel mistero.
Jacob protese una mano ed accarezzò la testa di Elizabeth.
< Mi hai...ho pensato che... > deglutì e distolse lo sguardo, puntandolo su Ephram che, ancora legato in macchina, agitava un sonaglio verde in gomma.
< Potevi chiedere a Billy o a Rachel. Sapevano che ero qui. Volevo vedere mio padre. > dichiarai lapidaria.
< E’ pericoloso. Non puoi andartene in giro, così! Sei troppo esposta! Lo SIETE tutti e tre. > sottolineò quel plurale con enfasi.
< So badare a me stessa e ai miei figli. Non c’è ancora alcun pericolo e, per quel che ne so, non sono una reclusa. Non devo chiederti il PERMESSO per uscire dalla riserva, no? > alzai la testa sprezzante.
Non avevo idea del perchè ritenessi quella sua preoccupazione esagerata, ma non mi sentii in colpa a rispondergli in modo brusco.
C’era qualcosa di sbagliato nella sua frase. Qualcosa che suonava sgradevolmente come disappunto.
Qualcosa che avevo sempre udito uscire da labbra di marmo appartenenti ad un angelo dannato risputato dall’Inferno stesso.
< Siamo sotto allarme Volturi, Bella. Se vuoi venire a farti una passeggiata, porta almeno uno del branco che protegga te e i bambini! > esclamò allora lui, allargando le mani con esasperazione.
< Preferibilmente che risponda al nome di Jacob Black, vero? Così puoi controllare che accidentalmente non incappi in un Cullen per le stradine di Forks. > sputai quella domanda ed un secondo dopo me ne pentii.
Cullai Elizabeth e chinai lo sguardo, colpevole.
Non avevo voluto rinfacciargli alcunchè, ma non apprezzavo quell’ansia che sfiorava il morboso. Era sempre appartenuta ad Edward, non a lui.
< Che diavolo stai dicendo? > crucciò la fronte e sospirò.
< Chi era al telefono ieri sera? Alice? > rilanciai.
Ecco qual’era il mio problema: il suo tenermi all’oscuro mi aveva portato ad agire in modo sconsiderato ed avventato.
Una parte di me riconobbe che probabilmente l’avevo fatto di proposito ad andare da Charlie proprio quella mattina, senza avvisarlo direttamente.
Se non fossi stata ferita gli avrei di sicuro chiesto di accompagnarmi.
Continuavo a metterlo alla prova e a fare stupide ripicche come una ragazzina.
- Non siamo cresciuti, amore mio. Siamo ancora di fronte questo portone dalla vernice scrostata a litigare per delle sciocchezze.  Ad accoltellarci a vicenda e a leccare il sangue che sgorga dalle ferite. Smetteremo mai? -
< Nessuno di importante. >

< Piantala, Jake! Ti ho sentito! Non trattarmi come una stupida o un’incapace. Non l’hai mai fatto e non cominciare, per favore! > lo rimproverai, come quando si rifiutava di ascoltarmi mentre gli spiegavo trigonometria sdraiati sul divano del salotto.
Lui infilò le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava e strinse le spalle.
Aveva l’aria abbattuta e quel suo cambiamento mi mise all’erta.
< Non voglio ferirti. Fidati, è meglio per te non saperlo. >
C’era ancora, dunque, il mio migliore amico. Quello che mi poneva prima di chiunque, persino di se stesso. Se non mi aveva confidato la verità era perchè sapeva che il suo peso mi avrebbe schiacciato.
Abbracciai più forte mia figlia.
< Dimmelo. Sopporterò. In amore si soffre anche, no? >
Sorrise appena, derisorio.
< Smettila con questa commedia. Non ne sai un cazzo dell’amore, già te l’ho detto. Volevi andare da tuo padre? Bene, direi che la mia presenza è d’obbligo. >
E senza darmi il tempo di rispondere si chinò sul seggiolino di Ephram e lo sollevò tra le braccia.
Mi tolse le chiavi di mano, chiuse la macchina e poi mi sospinse fino davanti al portone di Charlie, scostandosi da una parte.
Suonò il campanello e mi spiegò in un soffio, lasciandosi prendere un dito dalle manine sbavate del piccolo:
< Meglio un bambino per volta, se non vuoi che collassi davvero. >
Aprii bocca per rispondergli, ma lo scatto della serratura mi inchiodò le parole sulla lingua.
Mio padre comparve dietro l’uscio con una lattina in mano e gli occhi pesti: di sicuro si era addormentato di nuovo sul divano mentre vedeva una partita.
Indossava una camicia di flanella e aveva i baffi leggermente scompigliati.
Era esattamente identico a come lo ricordavo, neppure un capello bianco in più. Sembrava che il tempo si fosse cristallizzato e che fossi appena tornata da una giornata sfiancante a scuola.
Lui soppesò la mia figura dall’alto in basso un paio di volte e poi lasciò andare la bibita, facendola schiantare ai nostri piedi.
< Bella... > borbottò, cercando di non mostrarmi la sua commozione.
Volse la testa da un lato e tossì un paio di volte.
< Sei...sei tornata da queste parti. Ti tratterrai a lungo? >
Studiò gli infissi di legno della porta, ci battè sopra con le nocche e poi mi guardò fugace.
< Papà... > mi morsi le labbra e non riuscii a non far tremare la voce.
< Al diavolo...! > esclamò e tese le braccia verso di me per stringermi, ma poi si accorse di Elizabeth, tutta intenta a succhiarsi una mano.
< Oh! E questa? Di chi è? Hai trovato lavoro come baby-sitter? >
Charlie Swan, sceriffo scaltro, non sapeva cogliere le sottigliezze.
Forse proprio da lui avevo ereditato la mia ostinata ciecità: l’accettare un avvenimento solo quando mi franavano addosso le sue conseguenze.
Si chinò all’altezza di mia figlia e la solleticò sotto il mento.
< In effetti il taglio degli occhi mi sembra familiare... Non mi dire che è della tua amica, Jessica Stanley! > la sua supposizione assurda mi fece venir voglia di ridere.
< Ehi, Charlie! >
Jake spuntò al mio fianco con una naturalezza disarmante.
Aveva quella faccia di bronzo che tante volte mi aveva fatto infuriare, ma che a mio padre era sempre piaciuta. Non era un mistero che avesse sempre e spudoratamente parteggiato per il mio lupo.
Sperai che bastasse quella sua espressione sfrontata ad evitargli una pallottola in fronte. Licantropo o no, non avrei voluto constatare di persona se era in grado di sopravvivere ad un colpo di fucile.
< Jacob, figliolo! Sei tornato! Tuo padre stava... >
Non seppi mai cosa stava facendo Billy.
La voce di mio padre si spense, ma la sua bocca continuò a muoversi.
I suoi occhi erano inchiodati ad Ephram, in braccio a Jake, e potevo quasi sentire il rumore degli ingranaggi del suo cervello che stridevano gli uni sugli altri.
Spostò lo sguardo su Elizabeth e di nuovo sul suo gemello. Una, due, venti volte.
Ebbi paura che svenisse e cercai sostegno in Jacob, che se la rideva sotto i baffi.
Charlie allungò un braccio alla sua sinistra ed un attimo dopo teneva tra le mani salde il suo fedele fucile e ne puntava le canne mozze al petto di Jake.
< Dammi il bambino, non voglio schizzarlo del tuo sangue. > ordinò perentorio, con espressione assassina.
Jacob se lo poggiò meglio addosso e sfoderò un sorriso a trentadue denti.
< Dai, lo so che sei contento siano miei e non di Cullen! >
Mio padre tolse la sicura ed io mi lambiccai il cervello, alla disperata ricerca di un modo di salvare la pelliccia allo sfrontato ragazzo di cui ero innamorata.
< Papà, per favore. Non puoi essere...civile? Metti giù il fucile e parliamone. Non vuoi che restino orfani, no? >
La supplica nel mio tono non lo scalfì neppure.
< Tu ed io, Isabella Marie Swan, facciamo i conti dopo. Avevi detto di essere...essere... > assunse il colore della sua camicia rossa di flanella a quadri.
< Lo era. > replicò Jake per me.
Charlie assottigliò gli occhi.
< Non migliori la tua posizione, Jacob Black. Ti conviene tacere. Forza, entrate in casa, non voglio dare spettacolo. Sono lo sceriffo. > asserì orgoglioso, facendosi da parte.
Quando mio padre usava i nomi completi di qualcuno e non più dei graziosi appellattivi, era il momento di mettersi a tremare.
C’indicò con un gesto secco il divano e lui si accomodò sulla poltrona di fronte a Jake, senza abbassare l’arma.
< Dunque...quando...? > si schiarì la voce e fissò Ephram, cercando di distrarsi.
Porre domande complete su argomenti come quello, per lui, era come infilare volontariamente una mano nel tritarifiuti. Anzi, probabilmente, quello l’avrebbe fatto senza batter ciglio.
Sospirai.
< Nove mesi e mezzo fa. Giorno più, giorno meno. > rispose Jacob e mise il bambino sulle ginocchia, facendolo dondolare.
Charlie sbuffò.
< E’ per questo che sei scappata? > si rivolse a me, girando il fucile.
< No! Cioè sì. Oddio, papà ti prego leva... >
< ...di mezzo quell’energumeno lì? Volentieri, Bella. E tu! Dio Santo, eri tutto pelle e ossa fino ad un annetto fa. Ti droghi? > tornò di nuovo a interrogare Jake. Gli mancava una lampada puntata in faccia per un perfetto terzo grado.
Portò una mano alla testa e si massaggiò una tempia, chiudendo gli occhi.
< Ho bisogno di un’aspirina. No, di una birra. Meglio, di una sbronza. >
< Non te l’ho detto al telefono per questo. Guarda come stai reagendo, ti sarebbe venuto un infarto! > gli spiegai stanca, affossandomi nel sofà.
< Le mie coronarie stanno benissimo. Sono quelle di qualcun altro che tra poco diventeranno colabrodi. > tacque qualche secondo, incanalando aria sufficiente per sputare la domanda seguente, che di sicuro gli era rimasta incastrata tra le corde vocali.
< Tuo...tuo padre non ti ha detto...non ti ha fatto... Adesso lo chiamo e mi sente! La mia bambina! > quasi piagnucolò.
< Le precauzioni erano l’ultimo dei nostri pensieri, Charlie. >
Voltai la testa stupefatta verso Jacob e desiderai tranciargli la lingua.
Era matto? Voleva farsi sparare un colpo in fronte senza tante cerimonie?
Mio padre annaspò e si alzò in piedi col fucile spianato.
< Doveva essere IL TUO PRIMO E UNICO PENSIERO. > ringhiò, strattonandolo per i capelli.
< Papà, per favore! > lasciò le ciocche che aveva tra le dita e gli afferrò un orecchio, tirando.
Jake storse appena la sua espressione tronfia.
< DUE! Uno non ti bastava? >
< I numeri dispari non mi sono mai piaciuti. Due, quattro, sei... Sono più... >
< Ok, basta così, va bene? Non ne posso più di sentirvi battibeccare! > mi alzai e trascinai mio padre di nuovo verso  la poltrona, mettendomi in mezzo.
La piccola Ellie sgambettava in braccio a me, indirizzando sorrisi festosi al nonno.
< SEI? JACOB BLACK MI ASSICURERO’ PERSONALMENTE CHE TU NON FACCIA PIU’... UN MODO LO TROVO, A COSTO DI CUCIRTELO! >
< PAPA’ TI PREGO! > mi tappai un orecchio con la mano libera.
Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma Ephram fu più svelto di lui.
Iniziò a singhiozzare e strillare forte, scalciando tra le mani del padre.
Jacob lo tese in direzione di Charlie.
< Vuoi avere tu l’onore di cambiargli il pannolino, NONNO? >

< Bella, vuoi rispondere? Hai una suoneria trapana-timpani, Cristo! >

Jake sbuffò, mettendo la freccia a destra.
< Se trovassi il telefono, volentieri! > replicai, infilando anche la testa in quel borsone enorme in cui avevo ammassato i pannolini dei gemelli, qualche cambio, i biberon, i ciucci, il mio portafoglio ed il cellulare.
Dannazione, avrei avuto bisogno di un caschetto come quello dei minatori, con tanto di torcia e piccone per riuscire a trovare qualcosa in quel marasma confuso.
Tirai fuori una pochette, lì da chissà quanto tempo, e la gettai sul cruscotto affranta.
Sotto di essa scovai una tessera di quel puzzle di Londra da millecinquecento pezzi che Ellie aveva comprato per passare il tempo e che non avevamo mai terminato.
Chissà com’era finito lì quel frammento e chissà se sarei mai riuscita a collocarlo al posto giusto.
Riflettendoci bene, la mia vita in quel momento assomigliava dannatamente ad un puzzle pieno di buchi da riempire. Fortunamente stavo pian piano recuperando.
Incastrato un po’ a forza, vero, ma avevo appena ricollocato mio padre nel luogo in cui avrebbe dovuto essere.
Finalmente individuai la luce del display e sollevai trionfante il telefono, rispondendo di corsa prima che riattaccasse.
< BELLE, DOVE DIAVOLO SEI? >
I convenevoli con Ellie erano superflui. Quando ci si telefonava, solitamente, era per una necessità impellente e quindi era inutile sprecar tempo, sosteneva lei, in futili “Ciao!Come stai?”.
Dritta al punto della questione.
< In macchina, ero... >
< SALVAMI TI PREGO, NON NE POSSO PIU’! > la sua voce sfiorava gli ultrasuoni dei pipistrelli.
Jake storse il naso.
< Ellie, calmati. Che succede? > le chiesi, rivolgendo gli occhi al soffitto dell’abitacolo della macchina.
< CHE SUCCEDE, DICI? NON SO DA DOVE INIZIARE... uhm vediamo... DALLE QUATTRO TORTE CHE HA SFORNATO IERI SERA SUE? OPPURE DAL MIO VESTITO ROSSO DI PRADA CHE LEAH HA CALPESTATO CON I PIEDI SPORCHI DI FANGO? O ANCORA, DAI GIORNALETTI CHE SETH NASCONDE SOTTO IL LETTO? O, MEGLIO, DAL FATTO CHE JARED CONTINUA A RIDACCHIARE, PERCHE’ HA VISTO NELLA MENTE DEL MIO FID...RAGAZZO –ecco sì, ragazzo suona meglio- TUTTE LE POSIZIONI IN CUI...beh, hai capito. > prese finalmente fiato e singhiozzò teatralmente.
Scorsi Jacob di sottecchi e lo vedi mordersi le labbra nel tentativo di non ridere, che riusciva molto difficile anche a me.
Guardai fuori dal finestrino in cerca di un’ispirazione per una risposta decente da dare alla mia amica, quando di colpo lui accelerò.
La vettura strillò, mentre cambiava bruscamente marcia e premeva con violenza sull’acceleratore.
< Ellie, scusa, devo andare. > le dissi, reggendomi alla maniglia dello sportello con veemenza.
< Belle, che succede? Belle! > la sua voce mi giunse distorta dall’apparecchio che tenevo in grembo.
Fissavo tremante il parabrezza, senza nemmeno riuscire a rimprovare Jake per l’estrema velocità, quando lo vidi.
Apparve e scomparve rapido, quasi come un lampo all’orizzonte.
Un riflesso d’arcobaleni tra la boscaglia e i capelli bronzei al vento.
Il mio cuore perse un battito e la voce giunse prima del cervello.
< EDWARD! > gridai.

4 commenti:

Unknown ha detto...

Te l’ho detto e te lo ripeto sei tornata alla grande. Questo capitolo mi sono divertita troppo a leggerlo. Mi sono dovuta ancorare alla sedia per non rotolare giù nel confronto Jake e Charlie. Lo sceriffo è incredibile. Poveraccio la tua bambina sparisce e torna madre di due figli. C’è da rischiare coronarie molto più sane delle sue. (con tutte le schifezze che mangia.) è stato così divertente vedere Jake faccia di bronzo, tanto lo so che io ti piaccio, Charlie. Divertente ma allo stesso intimo e giusto. Perché quello è l’esatto posto di Jake. Nella cucina di casa Swan con suo figlio fra le braccia e Charlie che finge di volerlo uccidere, Bella che sbuffa esasperata, c’era così tanto amore in quella scena che fa male. Perché sono vicini ma ancora lontani, perché Bella ha fatto una serie enorme di errori e vero ma ora Jake sta facendo i suoi. Lui non ha sbagliato nella sua storia con Annie ma sta sbagliando ora nel silenzio. In fondo Bella è la madre dei suoi figli e non dirglielo a che serve? Negare il passato non lo fa sparire e lui dovrebbe saperlo bene. e non si può preservare l’altra dal dolore non si può mai.
Ed infine ci siamo, è anche il momento di Edward. Doveva arrivare quel confronto , anche Ed si merita la verità.
Ed Infine …menzione d’onore per Ellie e la sua disperazione.
Hai il licantropo figo e sexy? E mo beccati pure il risvolto della medaglia. Ahahaha poveraccia.
Al prossimo capitolo tesoro.
Non vedo l’ora.

Nalu ha detto...

Ahahahahah! :')....Questo capitolo mi ha fatto morire...dalle risate!! xD
è troppo esilarante il modo in cui reagisce Charlie alla vista dei gemelli! E quell'aria sfrontata di Jake! Dio, voleva proprio beccarsi una pallottola proprio al centro della fronte e morire così giovane! Ahahahah te lo giuro questo capitolo è stato troppo divertente!
A parte l'introduzione e le ultime righe finali, un pò più serie....Chi era al telefono?? Sicuramente Edward! Di cosa parlavano?? Non vorrei introdurre ipotesi azzardate, ma credo che cercassero un modo per accordarsi e per tenere al sicuro Bella e i due piccoli.....Aaaaah i piccoli! Non so perchè, ma mi hanno fatto una tenerezza assurda in questo capitolo! Alla fine non hanno fatto niente di particolare, ma sai com'è.....la mia mente funziona in modo strano e anomalo, tanto che ancora sto cercando un libretto di istruzioni, perchè certe volte ancora non la capisco! xD
Comunque, ritornando al bel triangolo Jake-Bella-Charlie coronato da Elizabeth e Ephram, bisognava aspettarsela una reazione tragicomica da parte di Charlie! "La sua bambina!"....non so se mi spiego!
Un'altra cascata di risate è arrivata con la telefonata di Ellie! Mamma, poverina! è troppo per lei! Ce: il vestito di Praga sporcato di fango?! Inconcepibile! AHAHAHAHAHHA poverina,provo pena per lei! Avrà sicuramente spaccato i timpani a Bella, visto quanto urlava! xD
E poi c'è la parte finale....Edward. Jake che accelerava....Ma perchè????
Non vedo l'ora di scoprirlo!
Volevo dire ancora qualcosa: Jake e Bella vogliono proprio farsi del male con tutte le loro forze, vero???? Trovano ogni giorno nuovi spunti per ferirsi profondamente, nuove discussioni su cui non trovano mai un accordo e cose che si nascondono....Quando capiranno che loro non sono fatti per litigare, ma per amarsi incondizionatamente???? Quando capiranno che tutto questo astio non fa bene??? Che, invece di perdere tutto questo tempo a infliggersi infinite ferite e cicatrici, dovrebbero impegnarsi invece a sanarle???
Davvero, aspetto con ansia il momento in cui lo realizzeranno! Saranno scintille!! <3
Poi....mi aspettavo anche Annie in questo capitolo...volevo vedere come continuava la cosa. Ma posso aspettare ancora un pò ;)
Ultima cosa (sì, lo so, ho rotto! xD): sei sempre bravissima (ti faccio un inchino e mi complimento!) e il tuo stile mi coinvolge sempre di più....Davvero, complimenti complimenti complimenti (clap!clap! clap!)
Al prossimo capitolo!!! :D
Baciiii <3
Nalu

silvia ha detto...

AAAAAAAAAAA che capitoloneee che bellezza!!!!! mamma mia come mi piace sta storia.. e come è finito sto capitolo!!!!
Devo dire.. che intanto son contenta che Annie non c'era hahaha.. mi spiace ma no no non la voglio tra i piedi.. anche se mi sa che nel prossimo sbucjerà fuori... poi che dire.. Bella non ama che la tengano fuori che non la facciano partecipe.. però mi sa che jake sbaglia a non dirle tutto.. ma penso lof accia per paura.. forse non si fida ..forse teme che lei rivoglia Edward.. e come finirà sta cosa??.. jake si è accorto di sicuro della sua presenza per quello ha accellerato.. e Bella?? che cosa proverà?? che cosa sentirà??
Ellie la adoro haha eeeee si.. se il suo fidanzato lupo sta con i lupi ..tutti sanno tutto.. e non è proprio abituata!!!
Amo Charlie.. hahaha che ridere.. perà secondo me adorerà i suoi nipoti!!!
SPeriamo bella sia più decisa più sicura di se.. che prenda in mano la situazione...
deve farlo!!! per lei per i bimbi.. e per Jake..

Maria_Black ha detto...

Allora. Diciamo che.
1) Chiedo umilmente scusa se non sono riuscita a recensire prima, ma, come ho già detto a tre o quattro autrici in questi ultimi due giorni, in queste ultime settimane sono stata molto molto poco su EFP e al computer in generale, quindi questo è il primo momento libero che trovo per scriverti qualcosa sui capitoli che ho letto qui e che ho finito di leggere ieri sera,verso mezzanotte.
2)Dall'ultimo capitolo che ho recensito di là, sono cambiate moltissime cose e quella che più mi sta a cuore- mi dispiace deluderti ma questa volta, no, non sono Bella e Jacob, nè tantomeno i loro due cuccioli- sono Seth e Ellie. Dio, li adoro! Sono in assoluto i due personaggi migliori di questa storia!!!! Nulla da togliere ai due principali, eh! Ma loro....proprio li adoro, non c'è nulla da fare!!!! <3
3)Bella e Jacob. E' normale la reazione di Jacob, combattuto tra le sue stesse emozioni, i suoi stessi sentimenti e quello che ha dovuto passare, subire, quello che Bella gli ha inflitto. Situazione spinosa e terribilmente in bilico. Situazione variabile e che si regge su una base barcollante. E' un po' come se il loro rapporto e loro stessi fossero appoggiati su un tavolo di cristallo, ma che ha una profonda crepa al centro. Il tavolo potrebbe rompersi e crollare da un momento all'alto, senza il tempo di potersi mettere al riparo, di poter mettere al riparo il cuore- o quel che ne rimane, di quell'organo vitale. Però, potrebbe anche arrivare in tempo il propetario del suddetto tavolo, incollare la crepa e si potrebbe ripartire proprio da lì, da quella crepa che sarebbe il segno del loro amore più forte di ogni cosa. Ma...la situazione è molto delicata, ripeto, e stavolta l'angolo della bilancia lo influenza soprattutto Jacob e non Bella.
Ed è proprio lui che, combattuto tra le due parti di sè, si comporta in modo estremamente incoerente. Preoccuparsi per Bella, allontanarla cn un solo sguardo. E poi ci sono i bambini, cosa che complica ancora di più la situazione.
4)-siamo al quattro, vero?! >.< - Annie. Annie è... semplicemente lei. Credo che sia impossibile odiarla, è umanamente non ammissibile. Però.... però, c'è quel però che me la fa tenere- in un certo senso- allontanata. Cerco sempre di non affezionarmi a questo personaggio, perchè voglio che accanto a Jacob ci sia solo Bella. E 'solo Bella' significa che anche Annie ne è tagliata fuori. Ma 'volerle male'...no, non è possibile. Ha sofferto troppo, è entrata troppo dentro di noi- me, in realtà- per 'volerle male'.
5) I Volturi. Altra brutta cosa, che si somma a tutte le precedenti. Certo, prima o poi dovevano arrivare, ma la cosa che più fa paura è che "I Volturi non danno mai una seconda possibilità". Ecco... e mo' come se fa?
6)Edward. Altro addendo che si unisce alla lunga sfilza di punti che si trovano sotto la voce "I problemi di Isabella Swan". Beh, anche lui, in fondo, si merita delle spiegazioni, un qualcosa che gli faccia capire dove ha sbagliato, in che cosa, quando e perchè- anche se non è mai stato lui ad aver sbagliato, ma solo lei, che ha negato l'evidenza fino al'ultimo.
7) -tranquilla, questo è l'ultimo- I capitoli sono uno più bello dell'altro e...beh, aspetto che arrivi il prossimo con ansia perchè ogni volta che leggo un capitolo in più, sono sempre più curiosa di come andrà a finire.
Ciao e un abbraccio fortissimo

Maria <3

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